Il pasto della domenica, simbolo dell’Italia

Ieri celebrato un rituale familiare. La premier in tv con Bottura

Il pasto della domenica, simbolo dell’Italia
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Domanda: se il pranzo della domenica diventerà patrimonio dell'umanità, lo sarà anche l'«abbiocco» che ne segue? O i signori di Parigi ci risparmieranno lo spettacolo di zio Erminio all'Unesco che dorme sulla poltrona a bocca aperta?

Ieri, che per l'appunto era domenica, in tutta Italia sono state allestite tavolate che hanno richiamato centinaia di persone con tovagliolo al collo per raccontare il rito festoso e festivo dell'italiano medio, un po' Fantozzi e un po' Toto Cutugno, ma alla fine noi siamo quella roba là: tagliatelle al ragù e polpettone e la mamma che cucina dalla mattina. Quando non è la nonna, perché la nonna è il vero patrimonio gastronomico italiano, non c'è chef che non dica di ispirarvisi e quelli che non lo fanno sono guardati con sospetto. Anche la premier Giorgia Meloni ne ha parlato ospite di Domenica In su Rai Uno assieme a Massimo Bottura, chef modenese che dell'italianità a tavola si è fatto cantore, talora con un po' di retorica.

Naturalmente la rappresentazione della lasagnitudine del popolo italiano (boia chi molla la forchetta) rientra nel quadro delle attività volte a promuovere la candidatura della cucina italiana a patrimonio Unesco, che verrà decisa da rappresentanti di ventiquattro Paesi l'8 dicembre prossimo, e speriamo che le due dozzine di signori siano stati in Italia e abbiano apprezzato la parmigiana. Un sì da Parigi, che dell'Unesco è sede, rappresenterebbe in fondo il rammendo a quella che viviamo come un'ingiustizia. Attualmente nel mondo sono riconosciute come patrimonio dell'umanità le cucine di quattro Paesi: Francia, Giappone, Corea e Messico. Posti dove si mangia benissimo, per carità. Ma, orsù, quanti di voi sarebbero disposti a trovare più gustosa la quiche lorraine del casatiello, il kimchi della cassoeula, il tacos di una pizza, una tempura di un fritto misto di pesce?

Che poi di cosa parliamo quando parliamo di cucina italiana? Non solo di ricette e ingredienti. Si tratta di una postura di vita, di un momento di socialità imperdibile, di una cosa che fabbrica ricordi e che tiene in piedi le famiglie. Chi non ha annunciato una nascita, un matrimonio, un divorzio, un'assunzione, un licenziamento davanti a una porzione di pasta al forno? Gli italiani, come ricorda il ministro dell'Agricoltura Francesco Lollobrigida, «a tavola parlano di cosa mangeranno al prossimo pasto, dei prodotti che sta mangiando e di quelli che arriveranno». Se gli uomini sono fatti della stessa materia del sogno, quelli con il passaporto italiano sono fatti della stessa materia del ragù: carne macinata se bolognesi, «tracchiulelle», ovvero costine di maiale, se napoletani. Perché poi siamo uniti dai rituali ma divisi dalla fede.

Insomma, dateci questo riconoscimento. Ce lo meritiamo, la domenica ma anche gli altri giorni. A Parma si mangia meglio che a Seul, lo dicono tutti, pure quelli di Seul.

E poi, avete visto quali sono gli altri patrimoni immateriali tutelati dai signori dell'Unesco? L'arte dei pizzaiuoli e la ricerca del tartufo e fin qui ci siamo. Però, ecco: i muretti a secco, la transumanza, l'opera dei pupi siciliani, il canto a tenore sardo, la perdonanza celestiniana, il suono delle campane. Davvero il polpettone di mammà vale meno di un din don dan?

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