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Churchill e Roosevelt, alchimia perfetta

L'americano pragmatico e il machiavellico inglese trovarono la formula

Churchill e Roosevelt, alchimia perfetta

La Carta Atlantica, resa pubblica esattamente ottanta anni or sono, il 14 agosto 1941, aveva un significato politico, per l'immediato e per il futuro, che venne subito, e da tutti, peecepito. Si era nel momento più delicato del Secondo conflitto mondiale. I tedeschi avevano già dato inizio alla Operazione Barbarossa invadendo l'Urss, gli inglesi continuavano a subire l'offensiva nazista con i bombardamenti sulle città, gli Stati Uniti erano combattuti fra la spinte isolazioniste che ritenevano l'intervento nel conflitto un passo verso la distruzione della democrazia (così si espresse il repubblicano Robert Taft) e il disegno del presidente Franklin Delano Roosevelt, preoccupato per una possibile e inaccettabile sconfitta inglese, di trasformare l'America nell'«arsenale della democrazia».

In questo clima maturarono gli incontri tra Roosevelt e Churchill a bordo della corazzata britannica Prince of Wales. Il premier britannico, a differenza del suo predecessore Neville Chamberlain, aveva sempre sostenuto la necessità di una alleanza anglo-americana in nome della «comune civiltà anglosassone» e, non a caso, aveva da tempo stabilito un rapporto epistolare con il presidente americano. C'erano, insomma, da entrambe le parti le premesse per rafforzare la special relationship anglo-americana. I due statisti si ritrovarono dal punto di vista umano. Churchill fu conquistato dall'interlocutore al punto che il Re, cui riferì sugli incontri, annotò: «W. era molto preso da lui ed è tornato convinto di conoscerlo». Comunque sia dall'incontro scaturirono decisioni che si sarebbero rivelate importanti per l'andamento del conflitto.

Il risultato più importane dell'incontro gu però l'elaborazione della Carta Atlantica che era palesemente ispirata ai principi wilsoniani e che finiva per delineare una risistemazione della carta geopolitica mondiale all'insegna della special relationship anglo americana che sarebbe stata, in certo senso, garante della democrazia nei Paesi liberati dal totalitarismo, della difesa della libertà e del mantenimento della pace.

C'erano, in quel documento, le premesse di quella che, in seguito, sarebbe stata l'Onu, ma anche la prefigurazione del passaggio del ruolo di cane da guardia della stabilità internazionale dalla Gran Bretagna agli Stati Uniti.

Henry Kissinger ha fatto notare come nella Carta Atlantica non ci fosse nessun riferimento all'«equilibrio politico internazionale» non perché la Gran Bretagna avesse rinunciato a questo concetto, da secoli pietra miliare della sua politica estera, ma perché Churchill era convinto che l'ingresso in guerra degli Stati Uniti avrebbe alterato quell'equilibrio e che, per il bene generale, fosse opportuno mettere in secondo piano gli interessi inglesi. La special relationship, insomma, c'era, ma tra soggetti di peso diverso. Inoltre, sia pur implicita, la Carta Atlantica conteneva una sottile dimensione antisovietica perché poteva essere letta come una presa di distanza rispetto alle annessioni territoriali dell'Urss. Non è un caso che Stalin abbia visto in quel documento un tentativo di emarginare l'Unione Sovietica dalle decisioni di ristrutturazione dell'assetto politico internazionale postbellico.

Naturalmente l'andamento delle operazioni belliche avrebbe comportato una ridefinizione dei rapporti fra le potenze attraverso la «diplomazia di guerra» e le conferenze internazionali ad essa collegate.

Ma ciò nulla toglie al fatto che nella Carta Atlantica, frutto dell'incontro tra il pragmatismo di Roosevelt e il machiavellismo di Churchill, fossero già delineati molti scenari futuri.

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