La serie che ha distrutto Stromboli non viene fermata. Perché?

Troppo spesso non si pesano le parole e le loro conseguenze: lo sanno bene gli abitanti di Stromboli, la cui isola è andata a fuoco per girare una serie tv

La serie che ha distrutto Stromboli non viene fermata. Perché?
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Può un'isola andare (quasi) completamente distrutta per la realizzazione di una fiction? Domanda retorica, perché in un Paese civile è impensabile che accada. Ma siamo in Italia e da noi anche questo diventa possibile. L'isola di Stromboli dallo scorso martedì è una distesa di cenere, arida e inospitale. E, almeno stavolta, il vulcano non c'entra niente. Sì, perché l'isola è abituata alle eruzioni e non ce la si può certo prendere con la natura che fa il suo dovere quando una colata di lava porta via tutto quello che trova sulla sua strada. Ma quando a causare la devastazione è la mano umana che, senza criterio, accende un fuoco per agevolare le inquadrature per una fiction televisiva, è comprensibile che monti la rabbia di un'intera comunità. Ah, c'è anche un paradosso in questa triste vicenda, perché la serie tv che si stava girando a Stromboli è dedicata alla Protezione civile. Oltre il danno, anche la beffa.

La procura di Barcellona Pozzo di Gotto ha giustamente aperto un fascicolo per fare chiarezza sull'accaduto e come nei più classici copioni delle magagne all'italiana è già iniziato il rimbalzo di responsabilità. La Rai se n'è subito tirata fuori, spiegando che si tratta di una produzione esterna alla tv di Stato. La produzione dice di aver chiesto tutti i permessi ma chi doveva concedere le autorizzazioni dice di non aver dato nessun nulla osta. In tutto questo l'isola vede letteralmente andare in fumo la stagione turistica che sarebbe dovuta essere quella del rilancio dopo la pandemia.

Gli operatori della zona hanno calcolato che l'incendio ha causato danni per circa 50 milioni di euro, bruciando le coltivazioni, i boschi e le distese di macchia mediterranea, necessari per garantire l'equilibrio all'ecosistema stromboliano, ormai completamente distutto. Qualcuno parla di tragica fatalità ma accendere un fuoco, anche se controllato, quando soffiano venti di scirocco non può essere definita una fatalità, è come lanciarsi da una rupe senza paracadute e sperare di atterrare sul morbido per non farsi male. Qualcuno parlerebbe di tragico destino? Difficile.

Certo, gli slanci di solidarietà non sono mancati, anche da parte di chi sta lavorando a questa fiction, ma questo non spazza via la rabbia degli abitanti. Anche perché l'intervista rilasciata dal produttore della serie tv ha gettato benzina sul fuoco (scusate il gioco di parole) negli umori degli isolani. Perché davanti a tutto questo, a chi ha rischiato di perdere la casa per l'incendio e a chi teme di perdere gli introiti della stagione estiva ormai iniziata, alla domanda di un giornalista che chiede se le riprese verranno bloccate non ci si può permettere di rispondere: "Assolutamente no, non vedo perché". Si chiama buon senso, e anche empatia.

Perché a volte le parole, e i sentimenti che suscitano, fanno più male del danno stesso. E gli occhi lucidi di chi, a fine lavori lascia l'isola spostandosi altrove, lasciandosi alle spalle tutto per continuare come se nulla fosse, non servono a riparare il disastro.

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