E così, alla fine si è capito da dove viene la genìa che popola i romanzi di Francesco Permunian, i suoi personaggi inclini al delirio definiti dalla critica grotteschi o folli ma anche, andando a cercare lontano le metafore, fiamminghi perché paiono usciti da una tavola di Bosch: viene, semplicemente, dal luogo di nascita, quella Cavarzere non lontana da Rovigo ormai entrata nella storia della letteratura; e precisamente da Ca' Labia, poche case lambite da un fiumiciattolo il cui nome stupefacente allude a una catabasi acquatica senza ondine né figlie del Reno, vale a dire senza speranza: «Lungo il centro di Ca' Labia passava il Tartaro, uno scolo che prosciugava le acque piovane di tutto il circondario». Se a ridosso dello «scolo» c'è un simulacro di città, non potrà che essere una città fantasma: «Un viottolo pieno di sassi e sterpaglia corre in mezzo a un pugno di casupole dai tetti sfondati. Tutte le porte sono sprangate, chiuse da chissà quanti anni. Si ode solamente il vento che innalza nubi di polvere».
Siamo nel Polesine o in un film di John Ford, magari la prima sequenza di Furore? Comunque gli abitanti del borgo sono spettri e il ritorno dell'eroe non prevede una permanenza; il che non toglie che bisogna prima trovarli, questi fantasmi, ricerca facilitata da un manoscritto che più dilavato non si può, visto l'alto tasso di umidità di Calabiani (Oligo editore, 153 pagg., 15 euro, a cura di Davide Bregola). Il manoscritto in questione è la «Cronaca dei calabiani», cioè di coloro che vivevano a Ca' Labia; redatta nel 1906 da Angelo Baldi, è composta da un foglio che raffigura le case con il nome degli abitanti, fra i quali spiccano gli antenati di Permunian. Esercito di ombre benevole non troppo militare perché marcia, più che altro, in direzione dell'osteria, i fantasmi dei calabiani sono poche decine e possono essere menzionati tutti in una manciata di capoversi.
Il volume alterna brevi e affascinanti prose, versi che ricordano la lugubre lirica di Trakl e numerose fotografie in bianco e nero tutto sommato allegre di una popolazione ormai polverizzata. Dal volume emerge un mondo remoto e mai dimenticato perché tenuto in vita dalla passione degli storici locali, dalle memorie individuali e adesso dalle pagine di Permunian che portano a compimento una straordinaria operazione di mitopoiesi. Cavarzere fu travolta dall'alluvione del Polesine del 1951, quando Permunian aveva pochi mesi; lo scrittore si salvò fortunosamente dalla violenza del Po, ma rimase isolato per due giorni e rischiò di morire per una broncopolmonite. Dato per spacciato, divenne oggetto di un'attenzione malsana che contribuì a formarne il carattere, nel bene come nel male: «Divenni mio malgrado il bambino dell'estrema unzione, acquisendo una fama talmente equivoca e sinistra da essere considerato il principale confidente della morte in circolazione». Già prima dell'alluvione, tuttavia, la nonna terrorizzava i bambini con favole che trasformavano il grande fiume in una faglia fra il mondo dei vivi e il mondo dei morti, i quali una volta l'anno percorrevano il Po su una zattera: «Nel buio del 2 novembre si poteva vedere la zattera dei morti, con un lume incerto sulla prua, che attraversava il Po.
Non si vedeva bene perché c'era sempre nebbia, ma si poteva udire un rumore di passi che salivano dalle caverne della terra. Quando la barca era a metà fiume, le case poste in riviera del Po si illuminavano di una luce misteriosa». La stessa luce che emanano queste pagine.
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