"Fantozzi, ma com'è colto Lei!". Il lato intellettuale di un mito pop

Altro che perdente. Il ragioniere più famoso della narrativa e del cinema italiano ha creato un vero immaginario

"Fantozzi, ma com'è colto Lei!". Il lato intellettuale di un mito pop

Aggettivi per Fantozzi rag. Ugo, matricola 1001/bis dell'Ufficio Sinistri (numero destinato a cambiare più volte) di libro in film: «sottomesso», «impacciato», «pavido», «servile», «sfortunato», «nevrotico», «soggiogato», «perdente»...

Ma se fosse anche colto?

All'epoca in cui nacque la maschera comica dalla forza di archetipo di Fantozzi - anni post '68 e dintorni, epoca di impegno, spranghe e cineforum- non si poteva dire. Da un po' di tempo a questa parte, sì: le avventure sub-umane del ragionier Fantozzi sono l'equivalente italiano dei racconti di Gogol'. E il suo autore, Paolo Villaggio, prima che un comico e un attore straordinario, è stato un grande scrittore.

Del resto un personaggio letterario e poi cinematografico, eroe o antieroe che sia, può diventare un simbolo del carattere nazionale e una icona sociale e pop - come lo è Fantozzi, da cui il perfetto aggettivo italico «fantozziano» - solo a condizione che, dietro, esplicita o meno, ci sia una solida operazione culturale. «Com'è cólto Lei, ragioniere...».

Ecco, ciò che sta dietro la grottesca epopea di Ugo Fantozzi - le cui mostruose esagerazioni, le gag geniali, le battute diventate tormentone, il linguaggio dirompente e i congiuntivi surreali sono indelebili nella memoria di almeno tre generazioni di italiani - è raccontato, fra background letterario e citazionismi a posteriori, in un libro che rappresenta, a suo modo, il lato intellettuale della premiata megaditta Villaggio&Fantozzi. Eccolo: Fantozzi, ragionier Ugo, sottotitolo: «La (ir)resistibile ascesa di un perdente nato» (Bietti), scritto a quattro mani, due prospettive di studio diverse e una stessa passione convergente, da Guido A. Pautasso e Irene Stucchi. La seconda è una storica dell'arte che non ha conosciuto Paolo Villaggio, entrato nella sua vita solo attraverso la letteratura, il cinema e un enorme immaginario estetico. Il primo è invece uno studioso delle avanguardie artistiche e letterarie del '900, il cui padre - per nulla incidentalmente - era Sergio Pautasso, coltissimo e ascoltatissimo editor nella Rizzoli degli anni Settanta che trasformò una comica intuizione di Paolo Villaggio in un fenomeno prima editoriale e poi cinematografico che ha pochi uguali nell'ultimo mezzo secolo italiano.

Domanda: ma come fa un borghese piccolo e cinico, canottiera di lana bianco-sporco e coscienza nera della mediocre borghesia iper consumista, a diventare degno di Cechov e Gogol'?

Risposta: attraverso una lenta, inesorabile, inarrestabile, micidiale cavalcata mediatico-culturale, da fantoccio pusillanime, privo di qualsiasi talento, tragicamente servile con i superiori e comicamente tirannico con gli inferiori, che in pochi anni scavalca medium, mode, frontiere, dalla Slovenia all'America latina, dalla Finlandia alla Maison de Filippo, Entreves, Aosta, con l'imperdibile piatto gadget del Buon ricordo in onore della polentata più tragica della storia del cinema, fino alla ballata l'Impiegatango e i fumetti per adulti Il ragionier Pantazzi o Pancozzi (titolo del numero 1, anno 1975, lire 300, A passeggio con la signora Vulvani) e, oggi, fior di saggi sociologici.

Altro che perdente nato. Fantozzi - che è sempre piaciuto molto ai maschi, i quali nel fenotipo hanno sempre visto l'amico, il collega, il cognato, mai sé stessi, ma molto poco amato dalle femmine, che lo trovano insopportabile immaginando che potrebbero trovarselo come marito - qualsiasi cosa ha toccato, ha fatto 13 al Totocalcio. Più che culo, ci vuole testa. E Paolo Villaggio ne aveva. Tanta. Basta ricostruire - come fanno Pautasso&Stucchi, sulla base della più completa bibliografia fantozziana, documenti inediti, centinaia di ritagli giornalistici, testimonianze «di famiglia» e un ricco inserto fotografico con copertine, locandine di tutte le cinematografie del mondo e rare foto di scena - la storia culturale di un personaggio che è più di cellulosa che di celluloide. Un tragicomico uomo senza qualità, ma creato da uno scrittore ricco di ottime letture: solo un raffinato conoscitore di cinema può dare della «cagata pazzesca» alla Corazzata Potëmkin.

A proposito, fra i libri e gli pseudobiblia del mondo di Fantozzi si segnalano: Via col vento, romanzo di cui il patetico impiegato dopo diciotto anni non riesce a superare la pagina quattro; una fantomatica edizione di lusso dell'Enciclopedia Britannica rilegata in pelle umana che è stato costretto ad acquistare a rate; una (inesistente) Storia di Milano in due volumi monumentali di un metro per 50 centimetri con la copertina in bronzo inciso del peso di 26 chili che il Ragioniere «è capace di leggere solo a letto la sera» ma quando si addormenta, «la moglie Pina è costretta a chiamare il carro rimozione dell'ACI per tirarlo fuori da quella trappola mortale»; la Storia del pensiero filosofico Perrone-Ferretti-Cianco della SEI, adottato per anni come manuale da molti licei e livre de toilette che Franchino, «il fetido barbone terrorista che puzza come una cagna marcia», legge nella discarica a cielo aperto; e L'albicocco al curaro, giallo immaginario che Fantozzi sfoglia correndo in stazione come un disperato e urlando il nome dell'assassino, ovviamente sbagliato, alla contessina Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare affacciata al finestrino del treno in partenza... Scaffali letterari sfasciati ma solido background sociologico.

Iter mediatico. Fantozzi, ragioniere specializzato nel calcolare il malessere e le nevrosi di un intero Paese, nasce in televisione, nel 1968, nella trasmissione Quelli della domenica. Poi, tra cabaret e sketch del Varietà, arriva nei giornali, in una celebre rubrica su L'Europeo, quindi nei libri bestseller pubblicati da Rizzoli (che all'epoca era un po' la megaditta di Fantozzi&Co.), e solo dopo al cinema.

«Fisicamente rozzo e sgraziato, con la pelle color topo e i capelli giallo sabbia», pantaloni ascellari e basco calcato in testa, brutto, piccolo, disperato e sottomesso, in realtà Fantozzi è un gigante. Uno, nessuno, tutti noi: Pupazzi, Fantocci, Bambocci, Bambozzi, Beccacci, Cagnacci, Bacherozzi, Scacacci, Bombacci, Mamozzi, Mortacci...

Fantozzi - frutto di un eccezionale lavoro di editing di Sergio Pautasso sui raccontini di Villaggio apparsi sull'Europeo - esce nel 1971 da Rizzoli. Venderà un milione e mezzo di copie. Nel '74 arriva Il secondo tragico libro di Fantozzi: un altro mezzo milione di copie. Poi, nel '75, è la volta del primo film della serie cinematografica, firmato Luciano Salce, campione d'incassi del biennio 1974-75 e inserito nella lista dei 100 film italiani da salvare; successo bissato l'anno dopo dal secondo capitolo.

Alla fine i libri saranno otto. I film dieci. L'eredità linguistica imponente («Com'è umano, Lei!», «megagalattico», «spigato siberiano», «Batti Lei!», «organizzazione Filini», «abbigliamento Fantozzi: gonnellino pantalone bianco di una sua zia ricca, maglietta Lacoste pure bianca, scarpa da passeggio di cuoio grasso...») e il lascito culturale incalcolabile.

Come aveva intuito benissimo lo stesso Villaggio, Fantozzi è un carattere senza tempo, «come Arlecchino o Paperino è una maschera perdente, ma felice di esserlo», che arriva, torna, subisce ancora, va in pensione, muore, va in paradiso, ritorna, viene clonato... È eterno, immortale, imbattibile. Si chiamano miti.

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