Assedio e caduta di Costantinopoli: così morì l'Impero

Il 29 maggio 1453 cadeva Costantinopoli. Segnando il passaggio fondamentale tra l'era bizantina e quella ottomana

Assedio e caduta di Costantinopoli: così morì l'Impero

Il 29 maggio 1453 i soldati dell'Impero Ottomano guidati dal Sultano Mehmet II entravano a Costantinopoli. La conquista turca della "Regina delle Città" poneva fine alla storia dell'impero nato dalla divisione dei domini di Roma nel 395 e ultimo erede della Res Publica. La seconda e definitiva caduta della città dopo quella ad opera di Venezia e degli esponenti della Quarta Crociata nel 1204 aprì alla denominazione della città nel nome attuale di Istanbul e allo spostamento della capitale ottomana sulle sponde del Bosforo. Finiva l'epopea dell'Impero bizantino, o meglio dei Romanoi (mai i greci di Costantinopoli si chiamarono infatti bizantini esplicitamente), e iniziava quella del Kayser-i Rum. "L'Impero di Roma", come i turchi chiamarono informalmente il loro Stato per porsi in continuità con l'antichità dei Cesari e di Costantinopoli.

Mehmet II divenne "Fatih", il conquistatore. La sua vittoria coincise con l'onorevole, tragica morte di Costantino XI, vero ultimo dei romani, ultimo Imperatore bizantino, che cadde proprio in quel giorno fatale per la modernità. La fine di quello che era solo un pallido, triste e fragile erede dello Stato che aveva dominato i Balcani e il Mediterraneo orientale fu percepita in Occidente come un vero e proprio terremoto geopolitico e uno spartiacque storico.

Costantino XI morì combattendo coraggiosamente dopo aver rifiutato la resa, Mehmet vinse e fu clemente nel ridurre il tempo dato a disposizione ai suoi soldati per saccheggiare la città espugnata, sua futura capitale. La battaglia sulle mura giustinianee fu violenta e si protrasse per 53 giorni, dal 6 aprile al 29 maggio. Con un rapporto di forze di otto a uno, gli Ottomani predisposero l'assedio per prendere per sfinimento la città, ma per lunghe settimane la battaglia fu animatissima.

Desideroso di risolvere definitivamente la grana di Costantinopoli, Mehmet aveva arruolato i giannizzeri migliori delle terre cristiane dei Balcani e le truppe più fresche provenienti dall'Anatolia e dalle tribù turche fedeli agli ottomani. Aveva portato con sé i migliori artigiani, primo fra tutti il rinnegato ungherese Orban, celebre forgiatore di cannoni. Uno dei tanti uomini eternati alla memoria della storia come protagonista militare di quelle settimane di fuoco. Assieme a loro, quello che assieme a Mehmet e Costantino XI è il vero terzo grande di questa battaglia: Giovanni Giustiniani Longo, che 35enne si era arruolato con un corpo di volontari genovesi che la Repubblica della città ligure aveva scelto di inviare in soccorso agli storici rivali per difendersi dall'assedio. 2-3mila "latini", come erano chiamati a Costantinopoli, principalmente italiani prestarono servizio assieme a 7mila bizantini, e Giustiniani fu il loro comandante.

Il combattente ligure sedeva vicino a Costantino XI alla vigilia della caduta della città, il 28 maggio, quando a Costantinopoli la cattedrale di Santa Sofia vide celebrata l'ultima messa solenne della sua storia alla presenza del patriarca Isidoro e di pressoché l'intera popolazione. Giustiniani continuò a presidiare quella Porta di San Romano che i suoi uomini avevano reso una fortezza inespugnabile per settimane anche il giorno successivo, quando le cannonate ottomane aprirono la strada all'invasione massiccia della città. Ferito gravemente ed evacuato mentre i turchi imperversavano in città, spirò a Chio due giorni dopo, tra il 31 maggio e l'1 giugno. Tanto ammirato dai difensori della città assediata, ricevette l'onore delle armi dallo stesso Mehmet che concesse una messa a suo nome in ricordo dell'avversario.

L'assedio aveva mostrato l'ascesa di veri e propri prodigi militari. Dalla passerella costruita da Mehmet per far doppiare alle navi ottomane, fatte navigare a spinte e traini sulla terraferma, la catena del Corno d'Oro agli enormi cannoni di Orban, nessuna fu davvero decisiva per piegare la città. I bizantini e i latini di Giustiniano contrattaccavano, compivano razzie, incendiavano barche e accampamenti. Costantinopoli fu travolta per inerzia e slancio, per il logorio della storia. Cedette perché il tempo giocava a favore degli ottomani. Fu una vittoria con poco eroismo da parte degli attaccanti e molto sul fronte della difesa. L'antistorica volontà di difesa di Costantinopoli contro ogni mezzo, ogni prospettiva e ogni realistica possibilità di successo eternò le figure di Costantino XI come imperatore chiamato a rispondere al ruolo a cui la storia l'aveva chiamato e di Giustiniani come guerriero nobile, la cui patria coincideva con il suo ideale. In questo caso, la difesa della cristianità e del vincolo di amicizia che lo univa al sovrano di Costantinopoli.

Ma anche Mehmet II emerse, poco più che 21enne, come grande sovrano. Forgiò un impero facendo della più ambita preda di guerra la sua capitale. Capì il ruolo storico del passaggio di mano di Costantinopoli. Segnò con dei versi persiani che chiamavano alla fine degli antichi regni turanici sulle Vie della Seta il suo ingresso nel Palazzo Imperiale che fu di Costantino, a testimonianza della caducità di potentati e sovrani di fronte ai flussi della storia: "Il ragno monta la guardia nei portici della cupola di Khusraw. La civetta suona il silenzio nel Palazzo di Afrasiyab [Samarcanda, ndr]. Così va il mondo, destinato ad aver fine". Il 29 maggio 1453 segnò una di queste fini. La fine di un'epopea iniziata nel 395 con la spartizione dei domini di Roma. O forse addirittura prima, il 753 a.C. sulle sponde del Tevere. Ma da un impero decaduto ne nacque un altro, che sarebbe durato fino alla Grande Guerra. Ponendo Costantinopoli, divenuta Istanbul, al centro di una nuova, grande storia. Della quale l'assedio ottomano fu un picco, forse il più alto, drammatico e simbolico. Ma in fin dei conti una componente. Ancora oggi fondamentale.

Tanto che il primo atto simbolico di Mehmet II fu quello di riconsacrare Hagia Sofia, il tempio della divina sapienza, a moschea. E che sulle sue tracce si è mosso, pochi anni fa, nientemeno che Recep Tayyip Erdogan, che ha annullato la decisione di Ataturk di farne un museo.

Re-ottomanizzare per ricordare alla Turchia che in passato fu impero, in forma islamica e mediterranea, prendendo possesso della più simbolica delle eredità del predecessore dell'Impero ottomano. A suo modo mai morto nonostante la fine dei domini dei Romaioi.

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