
A Milano e in Lombardia si è votato più che nel resto d'Italia. Non molto, nessun ingorgo ai seggi di un referendum voluto in modo pretestuoso dalla Cgil, un sindacato che non rappresenta più i lavoratori, ma in gran parte pensionati ed extracomunitari e da un Pd in un'ormai irreversibile crisi d'identità. Tralasciamo il solito complesso di superiorità del campo progressista che porta Landini a parlare di «evidente crisi democratica», solo perché non li hanno votati. Ma interessante è il dato del referendum sulla cittadinanza. Si diceva che la Milano progressista e la folta comunità di extracomunitari che l'hanno già ottenuta, sarebbero stati un plebiscito per chi la vuole concedere dopo soli 5 anni. E, invece, non è stato così. In tantissimi non sono andati a votare per far saltare il quorum, ma tra chi è andato a votare sono stati in molti a votare per mantenere i 10 anni al momento vigenti. Segno che a desiderare un allentamento delle maglie alla frontiera sono davvero in pochissimi. E questo si sapeva, ma ora è lecito sospettare che essere contrari a un'eccessiva tolleranza, siano anche quegli extracomunitari per bene che, dopo aver fatto tanta fatica, oggi pretendono che si rispettino le leggi e il percorso per diventare cittadini resti una cosa seria.
E non è certo un caso che a votare per la cittadinanza facile siano stati più gli elettori di quel centro che hanno ben pochi problemi di convivenza e non chi è costretto a vivere nei quartieri diventati ghetto o in quelli che lo stanno per diventare. Il prossimo voto sarà probabilmente per scegliere il sindaco. E questi sono dati da non dimenticare.