Cronaca locale

Violata dai pm l'immunità del Cav? E' giallo sull'inchiesta del caso Ruby

Nel comunicato della procura si parla di un "deputato" intercettato durante le indagini. Se l'onorevole fosse Silvio Berlusconi sarebbe stato infranto l'articolo 68 della Costituzione che stabilisce l'inviolabilità della corrispondenza dei parlamentari, compresi i tabulati telefonici. GUARDA IL VIDEO EDITORIALE DI SALLUSTI

Violata dai pm l'immunità del Cav? 
E' giallo sull'inchiesta del caso Ruby

C’è, nel pandemonio sollevato dall’impeachment di Silvio Berlusconi per utilizzo della prostituzione minorile, un dettaglio decisivo, anche se finora pochi lo hanno notato: ed è un dettaglio che investe in pieno il tema delicato dei rapporti tra politica e giustizia, delle prerogative della magistratura e di quelle delle altre istituzioni. É un dettaglio che si può riassumere in una serie di domande: la Procura milanese ha indagato sul capo del governo? In caso affermativo, lo ha fatto solo dopo il 21 dicembre, quando il nome di Silvio Berlusconi è stato iscritto nel registro degli indagati? E, in ogni caso, l’indagine è stata compiuta in modo rispettoso delle prerogative della carica ricoperta dal Cavaliere?

A sollevare questi interrogativi sono due elementi su cui vale la pena di soffermarsi. Il primo è la dichiarazione che nel pomeriggio di oggi Karima el Mahroug, alias Ruby Rubacuori rilascia ai cronisti: “I giudici mi hanno fatto le domande sul Presidente perché l’hanno saputo per via che il mio cellulare era ad Arcore”. Ma la presenza ad Arcore di Ruby non sarebbe decisiva, se la Procura milanese non avesse accertato che negli stessi momenti si trovava nella sua residenza brianzola anche il capo del governo. E quindi bisogna chiedersi in che modo si sono analizzati gli spostamenti del premier. Si potrebbe ipotizzare che ci sia accontentati dei ritagli di stampa, o dell’interrogatorio di personale di servizio o di scorta. Ma se invece si è scelto di seguire, anche per quanto riguarda Berlusconi, la traccia delle telefonate, si pone evidentemente un problema: perchè l’articolo 68 della Costituzione stabilisce che i parlamentari non possono essere intercettati e la loro corrispondenza è inviolabile, salvo autorizzazione della Camera di appartenenza. Poichè anche i tabulati telefonici rientrano in queste categorie, la loro acquisizione avrebbe dovuto passare per l’okay di Montecitorio.

Conoscendo lo scrupolo della Procura milanese, si può escludere che sia avvenuta una acquisizione abusiva. Ma è la stessa Procura a rendere noto, con il comunicato di stamattina, che qualche contatto telefonico del presidente del Consiglio è comunque finito nella rete. Il passaggio cruciale del comunicato è quello in cui si dice che l’invito a comparire recapitato a Berlusconi è “corredato delle fonti di prova, nel rispetto dei limiti di utilizzazione di cui alla legge n.140/2003”. Questa legge è quella nota come «lodo Schifani”, ed è stata - come è noto - abrogata in parte dalla sentenza della Corte Costituzionale del gennaio 2004. Ma una parte è rimasta in vigore, ed è quella che tra l’altro spiega come ci si deve comportare quando le conversazioni di un parlamentare vengono intercettate nel corso di inchieste a carico di altri indagati. Deve essere il giudice per le indagini preliminari a chiedere, su istanza di una delle parti, “l'autorizzazione della Camera alla quale il membro del Parlamento appartiene”. Tradotto in italiano, significa che il comunicato della Procura rende noto che nel corso delle indagini le conversazioni di un parlamentare sono state intercettate. Chi era questo parlamentare la Procura non lo dice: ma è verosimile che fosse lo stesso capo del governo.

Se le cose stanno davvero così - e lo si capirà presto - è facile immaginare che anche su questo fronte si giocherà una parte dello scontro senza quartiere che oppone da anni i magistrati milanesi a Silvio Berlusconi.

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