
Il 21 settembre è una data importante poiché si celebra la Giornata mondiale del morbo di Alzheimer. Fu isituita nel 1994 dall'Organizzazione Mondiale della Sanità e dall'Alzheimer Disease International al fine di diffondere informazioni sulla patologia e di promuovere iniziative dedicate alla sensibilizzazione della stessa.
Si stima che le persone colpite a livello globale siano circa 24 milioni, soprattutto anziani con più di 80 anni. E le diagnosi in continuo aumento hanno ripercussioni negative anche su coloro che assistono i malati. Secondo uno studio, infatti, un caregiver su tre presenta sintomi persistenti di depressione.
Che cos'è il morbo di Alzheimer
Descritta per la prima volta nel 1906 dal neuropatologo e psichiatra tedesco Alois Alzheimer, il morbo di Alzheimer è una malattia neurodegenerativa caratterizzata da una progressiva e irreversibile perdita delle funzioni cognitive. Raramente si verifica prima dei 65 anni. In questo caso si parla di demenza precoce o meglio di disturbo neurocognitivo maggiore (NCD).
Diversi sono i gradi di atrofia del cervello di un paziente affetto dal disturbo. Essa comporta non solo una degenerazione continua, ma anche una riduzione della reattività dei neurotrasmettitori (in particolare dell'acetilcolina) e diverse anomalie del tessuto cerebrale. Si pensi ai depositi di beta-amiloide, alle placche senili, ai grovigli neurofibrillari e agli alti livelli di proteina tau.
Come si manifesta il morbo di Alzheimer
Il morbo di Alzheimer, a differenza di altre patologie, è spesso presente per molto tempo (circa 15-30 anni) ma è del tutto asintomatico. Successivamente iniziano a comparire le prime manifestazioni che variano a seconda della fase della malattia. Abbiamo dunque i:
- Sintomi della fase iniziale: lievi cambiamenti della personalità, minimi problemi di memoria a breve termine, ripetizione di domande, piccole difficoltà di linguaggio, di calcolo e di ragionamento
- Sintomi della fase intermedia: disorientamento spazio-temporale, sbalzi di umore, ansia, depressione, insonnia, allucinazioni uditive, episodi di comportamento paranoico, problematiche di memoria a lungo termine, perdita di parte delle abilità cognitive
- Sintomi della fase finale: totale compromissione delle capacità cognitive, delirio, dimagrimento, perdita del controllo motorio e della funzionalità intestinale e vescicale.
Le cause
Attualmente l'eziologia del morbo di Alzheimer è sconosciuta. Si stima che il 90% delle diagnosi si manifestano in assenza di ereditarietà. Solo nel 10% dei casi si riscontra un'effettiva familiarità. La componente genetica, ad ogni modo, svolge un ruolo determinante.
Un genitore malato, infatti, ha il 50% di probabilità di trasmettere al figlio il gene alterato e la metà degli individui che lo ereditano sviluppano il disturbo prima dei 65 anni. I geni incriminati sono i seguenti: APOE-e4, APP, PSEN1, PSEN2, C4A, PVRL2, APC1.
Esiste, poi, un legame tra la demenza e la proteina Medin individuato nel 2022 dagli scienziati del Centro Tedesco per le malattie neurodegenerative. Quest'ultima si deposita nei vasi sanguigni del cervello e si aggrega alla proteina beta-amiloide.
A che punto siamo con la ricerca
La scienza negli ultimi anni sta facendo passi da gigante. Importanti scoperte alimentano le speranze e permettono una comprensione sempre più approfondita di una patologia che, purtroppo, oggi è ancora una condanna.
Attenzione ai "granuli di stress"
I ricercatori del Biodesign Institute dell'Arizona State University (Stati Uniti) hanno scoperto che i cambiamenti provocati dalla malattia potrebbero essere causati da un guasto nel trasporto delle molecole vitali tra il nucleo cellulare e il citoplasma.
Ad essere incriminati sarebbero dei "granuli di stress" nel cervello, ovvero grumi di proteine ed RNA che si formano attorno alle cellule in condizioni di stress derivanti da fattori di rischio genetici e ambientali.
Il ruolo delle cellule di microglia
Un altro studio statunitense ha fatto luce sul ruolo delle cellule di microglia nell'avvento della neurodegenerazione. Esse sono responsabili della sorveglianza del sistema nervoso e sono implicate in prima linea nella difesa contro i patogeni. Tuttavia, in caso di eccessiva attivazione, le cellule di microglia potrebbero spianare la strada alla patologia.
Un virus intestinale pericoloso
Alcuni scienziati dell'Arizona State University e del Banner Alzheimer's Institute hanno individuato un legame tra un comune virus, il citomegalovirus (Hmcv) e lo sviluppo della malattia.
Solitamente il patogeno appartenente alla famiglia degli Herpesvirus viene trasmesso quando si è esposti a fluidi corporei e la sua diffusione avviene solo quando è attivo.
Secondo i risultati dello studio in alcune persone il citomegalovirus potrebbe rimanere all'interno dell'intestino attivamente, raggiungere il cervello attraverso il nervo vago e, da lì, cambiare il sistema immunitario e innescare il morbo di Alzheimer.
I fattori di rischio
Uno dei fattori di rischio è senza dubbio il sesso femminile e un'ulteriore conferma è giunta da un algoritmo di AI che ha analizzato semplici test neuropsicologici basandosi su elementi "predittori", come la memoria, l'orientamento, l'attenzione, il linguaggio (Mmse), ma anche la memoria verbale a breve termine (Avtot) e la memoria episodica a lungo termine (Ldeltotal).
Attenzione altresì alla già citata età avanzata, al fumo di sigaretta, all'ipertensione, all'ipercolesterolemia, al diabete, alle carenze vitaminiche, all'obesità. Ancora all'assunzione di alcol, alle patologie vascolari, ai traumi cerebrali, alla depressione, alla dieta sbilanciata e all'assenza o alla riduzione delle attività mentali e sociali.
Il trattamento
Al momento la terapia del morbo di Alzheimer è esclusivamente sintomatica, ossia serve ad alleviare l'intensità della sintomatologia. Tra i farmaci più utilizzati figurano gli inibitori dell'AcetilColinEsterasi, gli antipsicotici e la memantina. Quest'ultima viene impiegata nelle fasi moderate e severe della patologia.
Di recente alcuni scienziati dell'Università Ebraica di Gerusalemme e dell'Institute for Medical Researche Israel hanno scoperto un complesso molecolare, Fib-1-Nol-56, che ha un ruolo centrale nel mantenere in salute le cellule cerebrali grazie ad un processo noto come "omeostasi proteica" (proteostasi).
Sono poi fondamentali anche i trattamenti non farmacologici, tra cui la stimolazione cognitiva, la fisioterapia, la terapia occupazionale, comportamentale, del linguaggio e della reminescenza. La stimolazione magnetica transcranica sarebbe poi in grado di rallentare l'avanzata della malattia.
La prevenzione
Rallentare e/o prevenire il declino cognitivo è possibile? La risposta è affermativa. Secondo uno studio pubblicato su JAMA Network la dieta Mind è efficace in tal senso. Si tratta di un regime alimentare basato sul consumo regolare e quotidiano di cibi di origine vegetale ricchi di nutrienti e di antiossidanti. Ma anche di carne bianca almeno due volte a settimana e di pesce una volta a settimana.
Anche un aumento dell'attività fisica tra i 45 e i 65 anni può aiutare a prevenire il morbo di Alzheimer. Al contrario l'inattività può essere dannosa per la salute del cervello. A tale conclusione sono giunti i ricercatori dell'Istituto di Barcellona per la Salute Globale in (ISGlobal) in collaborazione con i colleghi del Barcelona'eta Brain Research (BBRC).
Non dimentichiamo, infine, che al fine della prevenzione sono essenziali altre attenzioni, come il
monitoraggio e il trattamento di eventuali problematiche cardiache, l'allenamento cerebrale e la cura delle relazioni sociali.Leggi anche:
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