
Sia il carabiniere che guidava l'auto, che l'amico Fares Bouzidi che guidava lo scooter, sono indagati per omicidio stradale dalla procura di Milano nell'ambito dell'incidente che ha causato la morte di Ramy Elgaml. La Procura di Milano, con i pm Giancarla Serafini e Marco Cirigliano, hanno notificato l'avviso di conclusioni delle indagini, in vista della richiesta di processo. Rischiano quindi di essere rinviati a giudizio entrambi per la morte del 19enne che era seduto dietro allo scooter guidato dall'amico e inseguito, lo scorso 24 novembre, per otto chilometri dentro la città, da una Giulietta dei carabinieri. A Fares Bouzidi viene contestato l'omicidio stradale aggravato. Era senza patente e guidava sotto l'effetto di sostanze stupefacenti. La scorsa settimana è stato condannato a due anni e 8 mesi di carcere in un filone a parte che lo vedeva accusato di resistenza a pubblico ufficiale, nel processo con rito abbreviato davanti al gip Fabrizio Filice.
Le perizie sull'incidente e l'accusa dei pm
Sulla causa dell'incidente mortale sono arrivati a conclusioni diverse i consulenti di parte. L'esperto nominato dalla pubblica accusa, l’ingegnere Domenico Romaniello, era arrivato alla conclusione che il carabiniere alla guida ha avuto un comportamento corretto, ha frenato e l’urto tra l’auto e lo scooter non si è verificato alla fine dell’inseguimento ma in precedenza ed è stato laterale. Non ci sarebbe stato, dunque, uno speronamento prima della fase finale. A una conclusione opposta è arrivato l'ingegnere Matteo Villaraggia, chiamato a esprimersi dai familiari del ragazzo, assistiti dall'avvocata Barbara Indovina: senza l'urto il TMax sarebbe proseguito dritto, senza schiantarsi contro il semaforo all'angolo tra via Ripamonti e via Quaranta. Raccolte le conclusioni e le controdeduzioni, i pm milanesi hanno infine optato per la linea accusatoria anche nei confronti del militare, sostenendo che non è possibile escludere totalmente la sua estraneità all'azione colposa.
Il presunto depistaggio
Resta aperta la tranche che vede altri carabinieri indagati per depistaggio e favoreggiamento, perché in due avrebbero intimato a un teste di cancellare un video. Secondo i consulenti della difesa, gli avvocati Michele Apicella e Pietro Porciani, il testimone oculare si sarebbe trovato a non meno di 290 metri dal luogo dell'incidente, ovvero circa 4 minuti a piedi.
In quel momento esatto il suo cellulare "non avrebbe potuto registrare video o immagini dell'inseguimento né dell'incidente immediatamente successivo", ma solamente le operazioni di rianimazione del ragazzo. I file presenti sul suo smartphone non avrebbero contenuto "elementi utili a stabilire eventuali responsabilità da parte dei carabinieri".