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Gettò il bimbo dalla finestra: ora la baby sitter patteggia 4 anni

La baby sitter trentatreenne che fece cadere da un'altezza di tre metri il bimbo al quale badava ha patteggiato una condanna a 4 anni di reclusione. I giudici hanno tenuto conto della parziale incapacità di intendere e di volere dell'imputata

I carabinieri sul luogo della tragedia
I carabinieri sul luogo della tragedia

Era stata lei stessa a confessare di aver lasciato cadere dalla finestra il bimbo di poco più di un anno al quale faceva da baby sitter. Aveva detto di aver agito in preda ad una sorta di catalessi dovuto al mobbing subìto nel corso del suo impegno lavorativo precedente, in un momento di scarsa lucidità. E proprio ieri, ha patteggiato una condanna a 4 anni, 5 mesi ed 11 giorni di reclusione, per una pena che Monica Santi dovrebbe scontare in una struttura ospedaliera di Pavullo nel Frignano (un paese dell'Appennino modenese). Questo il verdetto del tribunale, che ha condannato la tata di 33 anni finita sul banco degli imputati per tentato omicidio.

I fatti

Tutto iniziò lo scorso 31 maggio, quando il piccolo di tredici mesi che la donna stava accudendo fu trovato in gravi condizioni davanti alla casa dei genitori a Soliera (una cittadina a pochi chilometri dal capoluogo modenese) dopo essere precipitato da un'altezza di tre metri. La corsa in ospedale e l'intervento dei sanitari hanno fatto sì che il bimbo si salvasse, per quanto ancora oggi riporterebbe alcune problematiche per le quali risulta seguito e continuamente sottoposto ad accertamenti. Già dai primi interrogatori gli inquirenti si concentrarono sulle testimonianze della trentatreenne, che sembrava avesse qualcosa da nascondere. I suoi racconti erano infatti apparsi subito sconnessi e confusi e a distanza di qualche mese, la principale indiziata recitò il mea culpa: agli investigatori confermò di aver gettato volontariamente il piccolo dal secondo piano della villetta in cui quest'ultimo viveva con la famiglia, a causa di un black-out psicologico. In un secondo tempo, aveva poi indirizzato una lettera ai familiari del piccolo, chiedendo di essere perdonata. "Non so quale sentimento provate nei miei confronti, ma se possibile vi chiedo di non odiarmi - si leggeva nel documento - non per me, ma per voi perchè il perdono fa bene all’anima. Io mi porterò dietro per sempre il senso di vergogna per quanto commesso, perchè io non sono la persona che ha compiuto quel gesto, non mi riconosco in quel gesto ma purtroppo non posso fare niente per modificare le cose".

La sentenza

Il malessere della donna, stando a quanto emerso, successivamente, sarebbe stato legato ad episodi di mobbing patiti nel precedente posto di lavoro e ad altre insoddisfazioni in ambito lavorativo che l’avevano via via logorata. Il perito nominato dal tribunale ha riconosciuto per l’imputata un "restringimento della capacità d’intendere e di volere al momento dei fatti", dunque una parziale incapacità. Tutti indizi che hanno chiaramente inciso sulla decisione del giudice. Stando a quanto riportato dal quotidiano Il Resto del Carlino, l’imputata ha effettuato anche un’offerta risarcitoria alla famiglia, che parrebbe tuttavia non essere stata accettata.

E la vicenda potrebbe quindi non essersi conclusa: non è escluso infatti che i genitori del bambino decidano di intraprendere l’azione in sede civile. L'impressione è che sotto questo profilo inciderà anche lo stato di salute del bambino, nel presente e nel futuro prossimo.

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