Anche Giulio Valesini di Report, in commissione Covid, ha dovuto ammettere che la Cina ha mentito e l’Oms ha insabbiato una verità decisiva sul contagio da uomo a uomo del virus. Sappiamo dalla sentenza del tribunale del Lavoro di Ginevra (di cui il Giornale ha parlato ad agosto) che l’intera narrazione sul ritiro del famigerato rapporto Oms scritto dal ricercatore di Venezia Francesco Zambon - quello che imbarazzava la gestione “improvvisata, caotica e creativa” di Giuseppe Conte e Roberto Speranza – non fu ritirato per volere dell’ex Dg della Prevenzione al ministero della Sanità Ranieri Guerra come sostiene la narrazione di Report ma per motivi «legati alla relazione tra Oms, Italia e Cina».
C’è ancora un pezzo di verità che deve venire fuori, c’è una persona che la conosce e c’è un proscenio perfetto per rivelarla. L’eroe della pandemia Zambon, colui che ha sfidato le regole dell’Organizzazione mondiale della Sanità e la narrazione mainstream e che ha ottenuto un risarcimento dall’Oms, ha una missione da compiere: andare in commissione Covid e raccontare la sua verità sul patto sporco con Pechino. Stando a quanto dichiarato da Valesini (e comprovato da uno scambio interno all’Oms di cui Il Giornale ha dato per primo notizia), l’inesattezza contestata nel rapporto riguardava la data del primo contagio uomo a uomo. Nella versione pubblicata da Zambon, senza il placet dell’Ufficio legale dell’Oms e ritirata nel giro di ventiquattrore, la data risultava - giustamente e correttamente - precedente a quella ufficialmente ammessa dalla Cina.
E qui sta il punto. «Ma non si poteva dire perché ufficialmente la Cina non aveva ammesso che la trasmissione uomo a uomo era avvenuta prima di quando l’avesse dichiarato ufficialmente», ha detto Valesini. E ha aggiunto: «È vero che viene ritirato ufficialmente per il box della Cina, ma il report dopo due ore era corretto».
Se così fosse, Zambon si sarebbe prestato – consapevolmente o meno – ad aggiustare impropriamente la timeline della pandemia più devastante dai tempi della Spagnola. Tutto, per non dire ciò che «la Cina non aveva ammesso» che «la trasmissione uomo a uomo era avvenuta prima di quando l’avesse dichiarato ufficialmente». Se Valesini non ha detto una fesseria colossale (ad oggi non è stato smentito) tocca a Zambon confermarlo. Non era un semplice funzionario, era uno dei coordinatori dell’Ufficio Oms di Venezia, in contatto diretto con le autorità sanitarie italiane, regionali e nazionali. Era una figura dirigenziale, in un ufficio finanziato anche con i soldi dei contribuenti italiani.
Dopo le rivelazioni del Giornale sulle ingerenze di Pechino nel ritiro del rapporto confermate da Valesini, il capogruppo di Fratelli d’Italia Galeazzo Bignami (che domani fa il compleanno, auguri) ha promesso di andare fino in fondo per sciogliere il nodo della connivenza Oms-Cina.
Come i lettori sapranno, l’Oms ha fatto di tutto per ostacolare i lavori della commissione Covid: prima ha rifiutato l’invito del presidente Marco Lisei ad essere audita, poi ha tentato di bloccare l’audizione del suo ex numero due Guerra, con una lettera percepita come intimidatoria dai membri della commissione che ha rafforzato il sospetto che «alcune verità debbano restare nascoste», come hanno sottolineato i due capigruppo Fdi di Camera e Senato, Bignami e Lucio Malan. Mosse che non hanno fatto altro che gettare ulteriori ombre sulla trasparenza dell’Oms.
I rapporti con la Cina ai tempi del Covid sono anche al centro di un altro filone dell’inchiesta parlamentare, quello sulle mascherine farlocche e sulle intermediazioni con aziende cinesi neocostituite ad altissimo rischio frode, a cui la struttura commissariale di Domenico Arcuri si sarebbe affidata per tramite di affaristi senza scrupoli legati in qualche modo a Conte e al Pd, come l’avvocato Luca Di Donna o l’ex giornalista Rai oggi deceduto Mario Benotti. Un capitolo su cui la capogruppo di Fratelli d’Italia Alice Buonguerrieri in commissione Covid ha promesso di non arretrare di un solo millimetro.
Ora, però, il quadro è più nitido: il rapporto Oms sulla gestione italiana del Covid non fu cancellato per un errore tecnico, ma per una precisa volontà politica. E quella volontà – nero su bianco – era di Pechino. Zambon è colui che ha scritto il dossier scomodo, che ha vissuto le pressioni dall’interno, che sa chi ha ordinato di piegare la verità ai diktat cinesi: è il migliore testimone della storia del Covid e di un indicibile patto imbarazzante: l’Oms si è inginocchiato davanti alla Cina, sacrificando la trasparenza e – di fatto – la salute pubblica mondiale? Il silenzio che ha falsato le cronologie, rallentato le reazioni e anestetizzato l’opinione pubblica proprio mentre il virus si apprestava a travolgeva l’Europa nasce in quel rapporto insabbiato. Se è comprensibile che l’Oms continui a rifugiarsi dietro l’immunità diplomatica pur di non rispondere alla commissione, l’ombra del ricatto politico ( si rafforza ogni giorno di più. Il silenzio di chi sa fa male alle vittime che Zambon - a differenza di altri - ha sempre dimostrato di onorare, prima ancora che alla credibilità della più grande organizzazione sanitaria del mondo.
La commissione ha bisogno della verità. Zambon ha la possibilità di raccontare ciò che ha visto, di fare i nomi, di indicare date, mail, pressioni.