Cronaca internazionale

Cosa c'entra l'anguria sui social con la Palestina

L'emoji del frutto sta spopolando sui social network, ma non c'è alcun legame con l'estate: si tratta del simbolo del sostegno ai palestinesi

Cosa c'entra l'anguria sui social con la Palestina

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Con l'inizio della guerra tra Israele e Hamas, i social network sono stati invasi da emoji dell'anguria. Da TikTok a X, passando per Instagram e Facebook: semplicemente virale. Non c'è alcun legame con l'estate o con il frutto in sé. Si tratta di un simbolo legato indissolubilmente alla tensione in Medio Oriente: rappresenta infatti il sostegno alla Palestina. Perché l'anguria?, si chiederanno in molti. Risposta banale quanto scontata: i colori del frutto sono gli stessi della bandiera palestinese, ossia il rosso, il bianco, il nero e il verde. Ma in realtà non si tratta dell'unica motivazione.

L'uso dell'anguria come simbolo palestinese non è nuovo, ma emerse per la prima volta dopo la Guerra dei sei giorni nel 1967, quando Israele prese il controllo della Cisgiordania e di Gaza e annesse Gerusalemme Est. Come evidenziato dal Time, all'epoca il governo israeliano rese l'esposizione pubblica della bandiera palestinese un reato penale. Per aggirare il divieto, i palestinesi iniziarono ad utilizzare il frutto che, una volta aperto, porta esattamente i colori nazionali della bandiera palestinese.

Il governo israeliano non si limitò a reprimere l'utilizzo della bandiera palestinese. Intervistato dal The National, l'artista Sliman Mansour dichiarò che i funzionari israeliani, nel 1980, chiusero una mostra alla 79 Gallery di Ramallah con il suo lavoro e quello di altri colleghi, tra cui Nabil Anani e Issam Badrl: “Ci hanno detto che era vietato dipingere la bandiera palestinese, ma erano vietati anche i colori. Quindi Issam ha detto: 'E se dovessi fare un fiore rosso, verde, nero e bianco?', al che l’ufficiale ha risposto con rabbia: 'Sarà confiscato. Anche se dipingi un’anguria, verrà confiscata’”.

Israele revocò il divieto di sventolare la bandiera palestinese nel 1993, come previsto dagli accordi di Oslo. Prima, invece, l'anguria aveva rappresentato un simbolo diffusissimo di proteste e di identità. Poi, nel 2007, subito dopo la seconda Intifada, l'artista Khaled Hourani creò "The Story of the Watermelon" per un libro intitolato Atlante soggettivo della Palestina. Da quel testo, nel 2014, isolò una stampa e la chiamò "I colori della bandiera palestinese, che da allora è stata vista da milioni di persone in tutto il mondo". L'utilizzo dell'anguria come simbolo della palestina è stato ripreso poi nel 2021, in seguito a una sentenza del tribunale israeliano secondo cui le famiglie palestinesi con sede nel quartiere di Sheikh Jarrah a Gerusalemme est sarebbero state sfrattate dalle loro case per far posto ai coloni.

Arriviamo dunque ad oggi. A gennaio il ministro della Sicurezza nazionale israeliano Itamar Ben-Gvir aveva dato alla polizia il potere di confiscare le bandiere palestinesi. Ciò è stato successivamente seguito dal voto di giugno su un disegno di legge che vietava alle persone di esporre la bandiera nelle istituzioni finanziate dallo stato, comprese le università. Il disegno di legge ha passato l’approvazione preliminare ma il governo è caduto subito dopo. A giugno, Zazim, un’organizzazione comunitaria arabo-israeliana, ha lanciato una campagna per protestare contro gli arresti e la confisca delle bandiere. Immagini di angurie sono state attaccate su sedici taxi in servizio a Tel Aviv, con il testo di accompagnamento perentorio: “Questa non è una bandiera palestinese”.

Ora, a più di un mese dall'inizio del conflitto, le emoji per manifestare vicinanza ai palestinesi.

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