
Era il 13 agosto del 2007 quando Chiara Poggi, 26 anni, venne ritrovata in una pozza di sangue all'interno della villetta di via Pascoli a Garlasco. Nel 2015 per l'omicidio fu condannato in via definitiva a 16 anni carcere il fidanzato della vittima, Alberto Stasi, ribattezzato dalla stampa dell'epoca come "il biondino dagli occhi di ghiaccio". Caso chiuso. Fino a quando, nel marzo del 2025, a 18 anni dal delitto, la Procura di Pavia ha deciso di riaprire le indagini. L'attuale inchiesta vede indagato con l'ipotesi di omicidio in concorso Andrea Sempio, un amico di Marco Poggi, il fratello di Chiara. Sta di fatto che, dal punto di vista giudiziario, le due vicende hanno un peso diverso. E ad oggi, escludendo ogni eventuale risvolto investigativo o colpo di scena, la narrazione di questo macabro e drammatico giallo resta quella cristallizzata agli atti del processo a carico dell'ex studente bocconiano.
Gli elementi contro Stasi
Stasi, che si è sempre proclamato innocente, venne assolto nei primi due gradi giudizio. Ma nel 2014 i giudici di appello bis ribaltarono il precedente verdetto, ritenendo che l'allora imputato fosse responsabile dell'efferato omicidio. Da qui la condanna - "al di là di ogni ragionevole dubbio" - a 16 anni di reclusione, poi confermata dalla Cassazione l'anno successivo. "La lettura congiunta di tutti i dati probatori acquisiti, gravi e precisi - si legge in un passaggio della sentenza di appello bis citato dal Corriere della Sera - porta ad individuare nell'imputato, oltre ogni ragionevole dubbio, l'assassino della fidanzata". Tra i 10 elementi che gli inquirenti dell'epoca ritennero incriminanti c'è l'assenza di un alibi: "Le attività che Stasi ha dichiarato di aver svolto - annotarono i giudici - consentono di collocarlo sul tale scena (quella del crimine ndr) in una finestra temporale compatibile con il delitto". C'è poi la questione legata alla bicicletta parcheggiata all'esterno di casa Poggi, la mattina dell'omicidio, che fu notata da una testimone ma non venne "mai menzionata da Stasi". E il sangue sui pedali che risultò compatibile con il Dna di Chiara Poggi.
La telefonata al 118 e le scarpe
Un altro elemento che depose a sfavore dell'allora imputato fu la telefonata al 118. "Stasi ha subito riferito di un incidente domestico - si legge ancora nella sentenza di condanna, anche se nella chiamata non c'è alcun riferimento a suddetta e presunta circostanza - che ben poteva spiegare la posizione della vittima a testa in giù in fondo alla scala ripida della cantina, ma tale qualificazione costituisce il primo grave e preciso indizio a suo carico. Il suo racconto è quello dell'aggressore, non dello scopritore". Vi è poi la questione delle impronte di una suola insaguinata sul pavimento di casa Poggi, corrispondente a una scarpa numero 42: "L'assassino calzava scarpe numero 42, Stasi possedeva e indossava anche scarpe numero 42". Infine le due impronte evidenziate sul dispenser del sapone liquido in bagno che, secondo i giudici, erano "entrambi dell'anulare destro di Stasi".
Gli indizi su Sempio
Andrea Sempio venne indagato e poi prosciolto nel 2017. Oggi, nella pista alternativa che percorrono i pm pavesi, il 37enne è indagato per omicidio in concorso con ignoti o Stasi. Gli elementi su cui si sta concentrando l'attenzione degli inquirenti sono tre. A partire dalla traccia di Dna rinvenuta sotto le unghie di Chiara Poggi che, in attesa dell'incidente probatorio del prossimo 13 giugno, viene attribuita al giovane. Poi c'è l'impronta del palmo di una mano individuata sul muro delle scale che conducono al seminterrato della villetta di via Pascoli, le stesse dove venne trovato il corpo senza vita della 26enne. Infine c'è la dibattuta questione del tagliando di un parcheggio a Vigevano dove Sempio si sarebbe recato la mattina del delitto. Un "alibi" debole, secondo i pm, che non fornisce alcuna certezza sugli spostamenti dell'indagato.
Gli altri elementi
All'attenzione dei pm di Pavia vi sono anche altri elementi, tra cui l'impronta classificata come "numero 10". Si tratta di un "contatto papillare insanguinato" - precisa il Corriere della Sera - sulla maniglia della porta di casa, che all'epoca venne ritenuto insufficiente per una comparazione.
Vi sono poi le 60 fascette paradesive, finite tra i faldoni dell'inchiesta ma mai analizzate, su cui potrebbe essere impressa una eventuale traccia del Dna dell'assassino. In ultimo l'analisi dei rifiuti lasciati in cucina e, in particolare, i due vasetti di Fruttolo, una confezione di Estathè e un cucchiaino sporco nel lavandino.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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