Scena del crimine

"Verità stordita dal tempo, vi dico chi uccise Simonetta Cesaroni"

Il giallo di via Poma al centro di un libro inchiesta scritto da Raffaella Fanelli: la verità su chi ha ucciso Simonetta Cesaroni potrebbe essere nelle carte. La riapertura dell'inchiesta potrebbe segnare una svolta

"La verità è stordita dal tempo, vi svelo chi ha ucciso Simonetta Cesaroni"
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Alla ricerca di una verità che non è ancora arrivata. Il giallo dell’omicidio di Simonetta Cesaroni è uno di quei casi di cronaca nera in cui, oltre al dolore di chi ha perso una persona cara, resta un grande interrogativo. Un caso intricatissimo, in cui furono furono accusate persone, ma anche in cui tutto si è risolto in un nulla di fatto: il colpevole non è mai stato trovato.

A tenere le fila di questo groviglio ha provato la giornalista Raffaella Fanelli nel volume dal titolo “Chi ha ucciso Simonetta Cesaroni? - Tutta la verità sul delitto di via Poma” (Ponte alle Grazie). Un piccolo spoiler prima di iniziare a parlarne: nel libro non è contenuta naturalmente una risposta a questa domanda, però è contenuta in effetti la verità, quello che è accaduto, quello che è emerso (o non emerso) nelle indagini, le ipotesi più o meno plausibili percorse dagli inquirenti. Perché, come disse una volta il padre della povera Simonetta, il nome dell’assassino è nelle carte. Quello di Fanelli è un lavoro duro e in alcuni passi anche pericoloso, fatto di fughe, di microfoni nascosti e di certosina ricerca.

Il libro di Raffaella Fanelli - scrive il magistrato Guido Salvini nella prefazione - ripropone in dettaglio tutti i vuoti, le contraddittorietà e le superficialità delle indagini, a partire dal mancato confinamento della scena del delitto. Un insieme di errori che, con le accuse mosse in sequenza a Pietrino Vanacore, Federico Valle e Raniero Busco, hanno portato a tre flop processuali con conseguenze certo non indifferenti per le persone che vi sono state coinvolte e per i familiari della vittima”.

Chi ha ucciso Simonetta Cesaroni?_banner

Anatomia di un delitto

Fanelli analizza quindi nei minimi dettagli cosa sia accaduto a via Poma e i risvolti che indagini e processi ebbero nel tempo, in questo lungo tempo da quel 7 agosto 1990, quando Simonetta fu trovata cadavere negli uffici degli Aiag, in cui si occupava di inserire digitalmente dei dati. È impossibile non partire proprio dal fatto in sé, benché molto noto. I particolari sono tanti e tali che, se trascurati non consentirebbero di arrivare a un punto importante, ovvero perché non si sia giunti ancora alla soluzione del caso.

Negli anni - scrive Fanelli - per l’omicidio di Simonetta Cesaroni, sono stati inseguiti presunti colpevoli eppure mai è stato cercato un effettivo movente. La ragazza non fu violentata. Ma denudata, per far sospettare uno stupro o un movente passionale. I colpi furono inferti con una violenza inaudita perché si pensasse a un raptus”.

Quello che non torna

Nel giallo di via Poma sono tantissime le cose che non tornano. Da una scena del crimine parzialmente inquinata - con un computer sul quale Simonetta stava lavorando e cui fu staccata la spina e un disegnino con la scritta “dead ok” - alle questioni inerenti l’arma del delitto, il Dna trovato nell’ascensore, fino alle porte ben chiuse degli uffici e la frase pronunciata dal datore di lavoro di Simonetta Salvatore Volponi nel trovare la vittima: “Oddio… Bastardo!”.

C’è un “bastardo” in questa storia, un assassino. Qualcuno che ha ucciso una ragazza nel fiore degli anni e non se ne conosce il perché. C’erano dei segreti connessi con il lavoro di Simonetta? Qualcuno l’aveva insidiata? Perché non si trova la cartelletta beige che la giovane aveva con lei il giorno del suo omicidio, una cartelletta tanto importante che le richiese di tornare da chi le aveva dato un passaggio in macchina a prenderla perché l’aveva dimenticata.

E poi c’è la negazione: in tanti dissero di non aver mai incontrato o conosciuto Simonetta. “Era giovane ed era anche bella - scrive ancora Fanelli - Simonetta Cesaroni non passava di certo inosservata. Eppure i portieri di via Poma e gli impiegati degli Ostelli dicono di non averla mai vista”.

Il duro mestiere del giornalista

La parte probabilmente più interessante del volume di Fanelli consiste nel suo incontro, di fronte a una ciotola di ciliegie, con l’avvocato Francesco Caracciolo di Sarno, il presidente dell’Aiag. La giornalista lo incontrò a marzo 2022, mentre in molti lo ritenevano morto. “Dica che sono morto, mi farebbe una grossa cortesia se confermasse che non ci sono più. Possiamo trovare un accordo. Ormai sono vecchio, vede come vivo qui, tranquillo e calmo, non voglio avere rapporti con il mondo”, le disse Caracciolo in quell’occasione.

Fu un incontro turbolento fra i due, che Fanelli registra e riporta con le sue domande incalzanti e le risposte evasive dell’ospite. Che a un certo punto la mette alla porta. “Sento una stretta forte al braccio nel secondo in cui mi arriva addosso mentre con gli occhi di fuori mi trascina verso la porta rimasta aperta e mi lancia con tutto il peso all’esterno - è il racconto scritto di Fanelli - Io urlo, lui anche, mentre cerco di non perdere l’equilibrio dopo l’urto col cancelletto. Mi giro verso il fotografo che mi guarda stranito. Mi allontano di corsa. L’uscita mi ha rintronata ma non rallento. Corre anche il fotografo, il primo a raggiungere l’auto. A ogni metro sento il cuore battere talmente forte da coprire il rumore dei passi ma non il ringhiare dei cani, sempre più vicini. Entro in auto anch’io e abbasso la sicura alla portiera. Mi appoggio al sedile, respiro e quasi ordino al fotografo di ripartire”.

E alla fine del libro resta la consapevolezza che questo sia un caso importante. Simonetta non fu semplicemente la ragazza sbagliato nel posto e nell’ora sbagliata vittima di un folle. È difficile dire che dopo oltre 30 anni l’assassino sia ancora a piede libero, potrebbe essere anche probabile che sia giunto naturalmente alla fine della sua vita: troppo tempo è passato senza una risposta. C’è un’indagine in corso, riaperta proprio a marzo 2022. “La verità, purtroppo, è stordita dal tempo trascorso. Trent’anni sono tanti.

Troppi”, conclude Fanelli.

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