Palle di fuoco e ultimi sorrisi: quel detrito che non lasciò scampo

Il disastro dello Space Shuttle Columbia, la prima navetta spaziale della Nasa, disintegratasi durante il rientro in atmosfera

Palle di fuoco e ultimi sorrisi: quel detrito che non lasciò scampo

Il primo febbraio 2003 era una normale mattinata al Kennedy Space Center di Cape Canaveral, in Florida. Un centinaio di spettatori si erano riuniti per osservare quello che avrebbe dovuto essere un normale rientro in atmosfera della navetta spaziale Columbia: un atterraggio di routine, come decine, anzi centinaia di altri effettuati nella lunga storia del programma Space Shuttle. Al centro spaziale e tra il pubblico non era previsto che accadesse nulla di insolito quel giorno: sarebbe stato solo un normale e spettacolare rientro della navetta che ha svolto la missione Sts-107, durata 15 giorni nello spazio.

I sette membri di equipaggio erano composti dal capitano Rick Douglas Husband, il pilota William "Willie" Cameron McCool, il comandante del carico utile Michael Anderson, lo specialista del carico Ilan Ramon e gli specialisti di missione David McDowell Brown, Kalpana "KC" Chawla e Laurel Blair Salton Clark, che avevano condotto ricerche sulla microgravità e completato esperimenti sul debuttante Spacehab Research Double Module.

Nulla, a bordo, nei momenti di preparazione al rientro - nei quali la navetta effettua la manovra di de-orbiting che le permette di rallentare e planare verso terra - lascia presagire la catastrofe che in pochi secondi provocherà la disintegrazione della Columbia e la morte di tutto l'equipaggio, che in un clima rilassato e gioviale gira anche un video di quelli che saranno i loro ultimi momenti in vita.

La storia dello Space Shuttle Columbia

Il 12 aprile 1981, la navetta spaziale Columbia – denominata Ov-102 – si sollevò dalla piazzola di lancio ruggendo in un cielo blu intenso diventando il primo mezzo riutilizzabile per i voli spaziali.

La sua costruzione cominciò nel 1975 ed ebbe una lunga gestazione: la consegna alla Nasa avvenne nel febbraio del 1981 dopo una numerosa serie di test. Lo Space Shuttle Columbia è stato il più pesante degli orbiter dell'agenzia spaziale statunitense, essendo stato costruito con uno standard ingegneristico più vecchio, e mancava anche dell'attrezzatura necessaria per effettuare l'assemblaggio della Stazione Spaziale Internazionale proprio perché si trattava della prima navicella costruita. Differiva infatti leggermente dagli altri orbiter in forza alla Nasa (Challenger, Discovery, Atlantis ed Endeavour) e sebbene potesse raggiungere l’orbita della stazione spaziale internazionale (Iss), il carico trasportato era insufficiente per bilanciare il rapporto costo-efficacia delle missioni pertanto venne utilizzato solo per missioni scientifiche e per la manutenzione del telescopio spaziale Hubble.

Nonostante i suoi limiti, il Columbia ha fatto registrare importanti primati nel volo spaziale. Oltre al volo Sts-1 e allo Spacelab, l'orbiter ha fatto registrare anche il primo volo di un astronauta dell'Agenzia Spaziale Europea (Esa), con Ulf Merbold a bordo dell'Sts-9 del 1983, mentre l'Agenzia Spaziale Giapponese ha usato la navetta per trasportare Chiaki Mukai, con la missione Sts-65, entrata nella storia come la prima donna giapponese nello spazio nel 1994. A luglio del 1999 il Columbia ha messo in orbita il telescopio a raggi X Chandra, che ancora oggi osserva oggetti nello spazio profondo.

L'Ov-102 è stato il primo orbiter a sottoporsi al programma di ispezione e retrofit programmato della Nasa, quando nel 1991 è tornato al suo luogo di nascita presso lo stabilimento di assemblaggio di Rockwell International a Palmdale, in California. La navicella in quella occasione vide circa 50 aggiornamenti, incluso un miglioramento del suo sistema di protezione termica. Nel 1994 lo Space Shuttle Columbia è stato trasportato di nuovo a Palmdale per il suo primo smontaggio e revisione importante, noto come Orbiter Maintenance Down Period (Omdp), durato circa un anno, per rimettere l'orbiter in condizioni “come nuovo”. Il suo secondo Omdp è stato effettuato nel 1999, eseguendo più di 100 modifiche al veicolo.

Il rientro fatale

L'equipaggio dell'ultima missione Columbia

La missione Sts-107 era la 28esima del Columbia. All'interno del centro di controllo missione, gli ingegneri hanno eseguito tutti i controlli dell'ultimo minuto. Tutto sembrava nominale. Il direttore del volo di rientro, LeRoy Cain, ha dato regolarmente al comandante dello Shuttle il via libera per avviare le procedure di de-orbiting.

Nove minuti dopo l'interfaccia di ingresso nell'atmosfera terrestre, al controllo di terra, riscontrano la prima anomalia. La telemetria indica che le temperature del fluido idraulico vanno improvvisamente fuori scala. I sensori che misurano i dati sono tutti situati a poppa dell'ala sinistra dello Shuttle e non ci sono elementi che possano spiegare il guasto, anche in considerazione del fatto che tutte le altre indicazioni del sistema idraulico sono entro i parametri di esercizio.

Dopo poco si presenta una perdita di pressione agli pneumatici sul lato sinistro, con le letture tornate fuori scala. Questa, di per sé, è già una brutta notizia per il Columbia, che non potrebbe atterrare senza la giusta pressione degli pneumatici. Vengono registrate ulteriori perdite di pressione dai sensori nel carrello anteriore e in quello principale, che aggravano il nervosismo al centro di controllo missione. Poi, improvvisamente, tutte le comunicazioni dalla navetta cessano bruscamente. Durante il rientro sono previsti contatti radio irregolari per via della ionizzazione sul corpo del veicolo data dai gas resi incandescenti dall'attrito, che avvolgono la parte inferiore dello Shuttle di un plasma che blocca ogni segnale per qualche decina di secondi, ma il silenzio è prolungato e si capisce che qualcosa è andato terribilmente storto.

Tutti gli sforzi di Houston per contattare il Columbia falliscono. Anche il radar utilizzato per tracciare lo Shuttle non individua nulla. L'interruzione del flusso di dati della telemetria e l'assenza del contatto radio nonché la scomparsa della traccia radar significa solo una cosa: la navetta spaziale si è disintegrata durante il rientro.

Nel frattempo arrivano notizie dal Texas, che si trovava lungo il percorso di discesa del Columbia, che riferiscono di persone che avvistavano palle di fuoco e detriti che cadono dal cielo. Ormai non c'è più alcun dubbio sulla sorte della navetta spaziale. Mentre a terra il Columbia è stato muto per minuti durante il rientro, all'interno della navetta l'equipaggio ha vissuto almeno 41 lunghissimi secondi in cui si è reso conto della propria sorte.

Le commemorazioni dell'equipaggio del Columbia

Alle 13.44:09, quando ha inizio il rientro nell’atmosfera terrestre, lo Shuttle si trova a 120,4 chilometri di altitudine e vola a Mach 24,57 sull’Oceano Pacifico. Come detto, a bordo in quel momento, l'atmosfera è ancora rilassata. Alle 13.48:39 il sensore alloggiato nell’ala sinistra inizia a mostrare tensioni più elevate rispetto a quelle presentate nelle precedenti missioni. Alle 13.50:53 il Columbia entra nella fase di rientro, che dura circa dieci minuti, in cui vengono raggiunti i picchi di temperatura, che si aggirano intorno ai 1450 °C.

Il Columbia ora si trova a circa 480 chilometri dalla costa occidentale della California e a 76 di altitudine, viaggiando alla velocità di Mach 24,10. Sono le 13.52:19 quando il sensore di temperatura sulla punta dell’ala sinistra cessa di funzionare dopo aver registrato deviazioni di temperatura superiori a 10 °C rispetto al normale, mentre alle 13.53:00 il controllo di terra non riceve più dati da quattro sensori di temperatura nell’impianto idraulico, interno ed esterno, sul lato sinistro della nave.

Il Columbia però continua a funzionare normalmente, e l’equipaggio non viene avvisato dei problemi riscontrati dalla telemetria. Alle 13.53:26 la navetta entra negli Stati Uniti continentali a ovest di Sacramento a 70600 metri di altitudine e Mach 23 di velocità e pochi secondi dopo, quando sono le 13.53:44 vengono avvistati i primi rottami che si staccano dal corpo del veicolo, e così via per altri quattro minuti nei quali il Columbia viene osservato andare progressivamente sempre più in pezzi.

Alle 13.59:32, mentre il Columbia sta volando a Mach 19,5 nel cielo tra il Nuovo Messico e il Texas a un'altitudine di 64mila metri, avviene l'ultima comunicazione tra il controllo di terra e il comandante Husband, che riesce a dire alla radio solo “Roger, uh, bu...” ma è solo cinque secondi dopo, quando suona l'allarme in cabina che riporta la perdita di pressione idraulica necessaria per il movimento delle superfici di controllo, che a bordo si capisce la gravità dei problemi della navetta. Alle 14.00:18 immagini televisive e testimonianze oculari certificano la disintegrazione del Columbia con varie scie di detriti che si spargono su una vastissima area degli Stati Uniti.

Le cause del disastro

Le indagini sul Columbia

Dopo sette mesi di indagini la commissione di inchiesta indipendente produce un rapporto diviso in sei volumi che ravvisa tra le cause delle tragedia, principalmente il distacco di un grosso detrito del rivestimento del serbatoio esterno di carburante che, 80 secondi dopo il lancio, ha impattato sull'ala sinistra andando a creare una breccia di 40 centimetri per 40 nel rivestimento termico.

Durante il rientro, questa rottura ha permesso all’aria incandescente di penetrare attraverso l’isolamento e fondere progressivamente la struttura in alluminio dell’ala sinistra, provocando un grave indebolimento strutturale generale e innescando una reazione a catena di cedimenti strutturali catastrofici, via via più rapidi a causa delle sollecitazioni aerodinamiche che si incontrano durante la delicata fase di rientro in atmosfera. I distacchi del materiale protettivo del serbatoio erano considerati, erroneamente, normali da parte della Nasa: se ne erano verificati spesso nelle altre missioni, ma prima di quel fatidico lancio si era trattato di detriti di piccole dimensioni.

Oltre a questo sentimento di “falsa sicurezza”, si aggiunge una causa strutturale all'interno dell'agenzia che ha portato anche, successivamente, alla sospensione dei voli degli Shuttle e alla cancellazione del programma: nel 2002 un rapporto alla Nasa della Rand Corporation, aveva sottolineato che esistevano diversi problemi relativi alla sicurezza: hardware e software di volo e di terra erano obsoleti, mentre aggiornamenti di sicurezza e riparazioni di infrastrutture erano stati rinviati.

I vincoli di budget hanno avuto un impatto sul personale e sulle risorse necessarie per la manutenzione e gli aggiornamenti, mentre la fitta tabella di marcia per la costruzione della Iss ha causato il logoramento del programma

Shuttle, inoltre era emerso qualcosa che si era già visto al tempo del disastro del Challenger, ovvero che la Nasa non ha una organismo di sicurezza veramente indipendente con l'autorità di fermare il progredire di una missione.

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