Armi a Kiev e dialogo con Mosca: cosa si nasconde dietro alla parole del Papa

Francesco difende la resistenza ucraina, ma si smarca dalle posizioni dei governi occidentali. C'entra la sua volontà di andare a Pechino. Ecco come si muove la diplomazia vaticana

Armi a Kiev e dialogo con Mosca: cosa si nasconde dietro alla parole del Papa

Ieri Papa Francesco, sul volo dal Kazakistan, ha pronunciato forse le sue parole più nette dal 24 febbraio ad oggi: "Difendersi è non solo lecito, ma anche un'espressione di amore alla patria", ha detto rispondendo ad una domanda esplicita sull'invio di armi all'Ucraina. Tuttavia, le sue dichiarazioni non sono certo un endorsement alla strategia adottata dai governi occidentali di fronte all'invasione russa. Accanto all'esaltazione della resistenza dei popoli di fronte ad un attacco, il Papa non ha fatto mancare dei paletti all'aiuto militare di Usa e Ue, "È una decisione politica che può essere moralmente accettata, se si fa secondo le condizioni di moralità", ha detto Francesco, "ma può essere immorale se si fa con l'intenzione di provocare più guerra o di vendere armi". "La motivazione - ha chiosato - qualifica la moralità".

Per provare a farsi un'idea del giudizio papale sulla motivazione è difficile non considerare la frase sull'"abbaiare della Nato alla porta della Russia" pronunciata in un'intervista al Corriere della Sera. Francesco ha rimproverato il patriarca Kirill di essersi trasformato nel "chierichetto di Putin" e lui stesso intende tenersi lontano dal pericolo di essere bollato come chierichetto dell'Occidente da leader politici e religiosi non occidentali. Un abito che, peraltro, non calzerebbe in alcun modo al primo pontefice sudamericano della storia e che verrà ricordato per aver voluto l'Accordo Provvisorio con la Repubblica Popolare Cinese sulla nomina dei vescovi.

Proprio le relazioni con Pechino sembrano più che mai in cima all'agenda dell'attuale pontificato. Il viaggio in Kazakistan ne è stato una prova e non solo per gli eccellenti rapporti sino-kazaki ma per quanto detto sui voli papali d'andata e di ritorno: il papa è sempre pronto ad andare in Cina, non intende fare marcia indietro sul dialogo avviato con il Dragone rosso e non se la sente di definirlo un Paese antidemocratico. La disponibilità papale, non a caso, ha incassato in questi giorni gli applausi del ministero degli esteri cinesi che preparano il terreno ad un rinnovo dell'Accordo Provvisorio sui vescovi in scadenza a fine ottobre.

La Cina, pur dichiarandosi neutrale sulla guerra in Ucraina, si è dimostrata critica sulle sanzioni alla Russia e ha parlato esplicitamente di responsabilità di Usa e Nato nelle cause che hanno portato al conflitto. La diplomazia vaticana conosce bene la posizione cinese e sa che con il rinnovo dell'Accordo in ballo - auspicato a Roma ma non dato per scontato a Pechino - è il caso di tenersi cauti sui dossier di politica estera. La volontà di dare l'idea alla Cina di essere appiattiti sulle posizioni occidentali, insieme alle preoccupazioni per lo stato del dialogo ecumenico con il Patriarcato di Mosca, potrebbero essere le motivazioni principali della prudenza del papa sull'invio di armi in Ucraina.

Ieri, infatti, oltre alla difesa del popolo definita espressione dell'amor patrio, Bergoglio ha anche affermato: "Io non escludo il dialogo con qualsiasi potenza che sia l'aggressore. Delle volte il dialogo si deve fare così. Puzza, ma si deve fare perché al contrario chiudiamo l'unica porta ragionevole per la pace".

Un appello simile a quello che era stato avanzato anche dall'ufficio del ministro degli esteri cinesi, Wang Wenbin, in reazione alle parole del presidente Usa, Joe Biden che aveva bollato il suo omologo russo Vladimir Putin come un "criminale di guerra" e "dittatore.

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