Politica internazionale

Ricordare Regeni non vuol dire mollare l'Egitto

I titoli "Meloni archivia Regeni", "Meloni, silenzio su Regeni" uniti al "Mai con chi copre assassini" della segretaria Pd Elly Schlein sono letture provinciali e modeste dello storico incontro avvenuto domenica a Il Cairo

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I titoli «Meloni archivia Regeni» (La Stampa), «Meloni, silenzio su Regeni» (La Repubblica) uniti al «Mai con chi copre assassini» della segretaria Pd Elly Schlein sono letture provinciali e modeste dello storico incontro avvenuto domenica a Il Cairo tra il presidente egiziano al-Sisi e i leader europei guidati da Ursula von der Leyen e dalla nostra premier Giorgia Meloni, che ha portato a un accordo, in cambio di sette miliardi, sul controllo da parte dell'Egitto dei flussi di migranti.

Mandato allo sbaraglio dalla sua professoressa dell'università di Cambridge a fare un dottorato in Egitto, Giulio Regeni finì probabilmente inconsapevole in un gioco di spie e faide locali molto più grande di lui; scomparve a Il Cairo il 25 gennaio 2016 e il suo corpo venne ritrovato pochi giorni dopo sul ciglio di una strada con evidenti segni di torture. Cosa accadde davvero e chi siano mandanti e autori materiali nessuno lo sa, perché sulla vicenda l'Egitto ha alzato una cortina di ferro difficilmente valicabile dalla magistratura italiana.

Il caso ha creato non poche tensioni tra Italia ed Egitto, anche se alcune versioni sostengono che Regeni fu vittima degli oppositori del presidente al-Sisi che cercavano l'incidente internazionale per danneggiare l'immagine del governo: se fossero stati uomini leali al presidente dice la logica il corpo non sarebbe stato lasciato in bella vista ai lati di una strada trafficata, ma fatto scomparire per sempre.

Ma veniamo all'oggi: che piaccia o no, al-Sisi (un ex generale al potere dal 2014, certamente non etichettabile come sincero democratico) è l'ultimo baluardo contro il dilagare dell'islamismo estremista religioso e politico verso l'Europa. Quel che resta della stabilità dell'area mediterranea dipende della tenuta dell'Egitto, Paese alle prese con una grave crisi economica e forti tensioni sociali. Aiutare l'Egitto sette miliardi sono per loro una prima boccata di ossigeno non significa né trattare, né aiutare gli assassini di Regeni. Semmai significa rendere l'Occidente un po' più sicuro, oggi è forse meglio dire meno insicuro, e l'Egitto un po' più democratico (la fame non è mai buona consigliera).

Nessuno dimentica Regeni, il punto è ricordarsi chi siamo e scegliere se tali vogliamo rimanere. Aver abbandonato, bombardato e ucciso Gheddafi non ci ha reso più liberi e giusti, né noi né i libici.

E il conto lo stiamo ancora pagando tutti.

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