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Se anche Monti scarica la Germania

Nel 2014 il suo governo venne definito il peggiore tra quelli che avevano guidato il Paese dal 1996, valutandone l'operato in base a sei parametri fondamentali dell'economia reale e della finanza pubblica

Se anche Monti scarica la Germania
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Nel 2014 il suo governo venne definito il peggiore tra quelli che avevano guidato il Paese dal 1996, valutandone l'operato in base a sei parametri fondamentali dell'economia reale e della finanza pubblica. Perfidamente Giulio Tremonti, suo rivale da sempre non solo in cattedra, affermò che per un giudizio sintetico sarebbe bastato «fare un bilancio su com'era la situazione prima e come appare dopo: il debito pubblico doveva scendere, invece è salito; il Pil doveva salire, invece è sceso». Piovvero critiche per l'eccesso di austerità e per le scelte impopolari imposte al Paese per tentare di superare una crisi che forse fu eccessivamente enfatizzata. Ancora oggi certi aspetti del governo tecnico guidato da Mario Monti tornano ciclicamente nel dibattito politico, sia pure per dare atto che il giudizio finale è più complesso di come a volte viene grossolanamente presentato.

C'è però un sospetto che persiste nei confronti dell'ex premier e che ne spiegherebbe il programma rigorista: l'eccesso di intimità col governo tedesco allora guidato da Angela Merkel. Ha perciò sommamente sorpreso l'editoriale a sua firma comparso ieri sulla prima pagina del Corriere della sera. Un attacco durissimo all'ultima versione del Patto di stabilità - quella abbozzata nella lunga notte dell'Ecofin - giudicata dall'economista «non all'altezza delle grandi sfide che deve affrontare l'Europa» sia sul fronte economico che istituzionale. Un Patto non flessibile che confonde la spesa per il consumo con quella per gli investimenti, un patto che non tiene conto delle situazioni dei singoli partner (chiaro il riferimento al debito pubblico) ma che, osserva il senatore a vita, è tarato solo sulle esigenze di bottega della Germania: esattamente ciò che da molte settimane va spiegando ai suoi lettori il Giornale, esortando la premier Giorgia Meloni e il ministro Giancarlo Giorgetti a tenere il punto, anche a rischio di dover ricorrere all'arma estrema del veto di fronte a un accordo che per l'Italia non sarebbe sostenibile. Scoprire che la pensi in questo modo anche il professor Monti conforta non poco. E ci rende ancora più saldi nella nostra posizione la sua opinione attuale sulla Germania, che con un linguaggio insolitamente diretto definisce «impantanata», «con minore autorità morale», «che a volte esporta instabilità o ricorre ad artifici contabili».

Un modo molto efficace per dire che l'egemonia tedesca che nel 1997 ingabbiò il primo Patto di Stabilità non può più essere riproposta oggi: Berlino non ne ha più la forza né l'autorità morale. Troppi cambiamenti sono intervenuti, troppo disordine sullo scacchiere geopolitico, troppa competizione tra blocchi continentali, sicché di questi tempi sarebbe un lusso pensare di danzare con scarpette da ballerina. Perciò, se davvero si vogliono affrontare transizioni epocali come la decarbonizzazione o l'intelligenza digitale, gli Stati devono poter scendere direttamente in campo - come peraltro stanno facendo Stati Uniti e Cina - con massicci investimenti a costo di accrescere il debito. Altro che riduzione dell'1% l'anno come si vorrebbe per i partner più indebitati. Il governo tedesco dovrebbe comprendere che il benessere collettivo richiede politiche a sostegno di queste grandi sfide e che perciò non è più tempo per mantenere vivo il «freno al debito» previsto dalla loro Costituzione: flessibilità e sostenibilità sono le due nuove parole chiave.

E qui arriviamo al punto: sarebbe tutto più facile se l'idea di una nuova Europa, come ha suggerito di recente anche Mario Draghi, cominciasse a entrare stabilmente nelle agende delle cancellerie dell'Unione, onde poter combinare politiche nazionali e sostenibilità del debito, forti di una capacità fiscale centrale di dimensione sufficiente a finanziare adeguate politiche industriali di raggio europeo. Dunque, se Berlino non farà il passo indietro che serve a raggiungere un accordo realmente sostenibile sul Patto di stabilità, sarà compito del governo di Roma rispondere con la fermezza che la circostanza richiede.

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