Scena del crimine

"Faccio parlare le macchie di sangue: così ci raccontano un delitto"

Gabriele Rotter, specialista in Bpa, racconta a IlGiornale.it come dall'analisi delle tracce ematiche rinvenute sulla scena del crimine riesca a far emergere le dinamiche di un omicidio

"Faccio parlare le macchie di sangue: così ci raccontano un delitto"

L’analisi delle tracce ematiche rinvenute sulla scena del crimine può rivelarsi un’attività fondamentale ai fini della ricostruzione della presunta dinamica delittuosa nei crimini violenti, durante i quali sia avvenuto uno spargimento di sangue.

In questi casi è come se il sangue parlasse dal momento che, una volta esaminato dagli specialisti del settore, può “raccontare” i movimenti compiuti dai soggetti coinvolti durante e al termine della consumazione del reato, nonché la posizione assunta dalla vittima rispetto al suo carnefice mentre quest’ultimo la colpiva. E ancora le armi impiegate e il possibile numero di colpi inflitti, la direzione degli schizzi e tanto altro. Ma come si fa a comprendere ogni singola dinamica solo dall’analisi delle tracce ematiche? Ce lo spiega Gabriele Rotter, criminalista e specialista in Bloodstain Pattern Analysis (Bpa).

“La Bpa – dice Rotter a IlGiornale.it - è una disciplina forense molto complessa in quanto richiede allo specialista la conoscenza di diverse scienze naturali, quali l’anatomia e la fisiologia per comprendere, tra l’altro, come le caratteristiche dei vasi lesionati possano condizionare la morfologia delle tracce ematiche originate; la chimica e la biochimica, per il corretto impiego dei reagenti volti all’esaltazione e alla ricerca del sangue latente, nonché per comprendere il processo di coagulazione sanguigna”.

Il criminalista ci spiega inoltre che sono necessarie le conoscenze della fisica e della fluidodinamica per valutare come le proprietà del fluido ematico e le forze esterne influenzino la formazione delle tracce ematiche. “Infine – afferma - occorre conoscere anche la matematica per individuare, attraverso l’applicazione di alcune formule trigonometriche, la possibile zona di origine delle gocce e quindi la posizione reciproca della vittima e dell’autore del reato sulla scena”.

Andiamo con ordine. Quando rinviene delle tracce ematiche sulla scena del crimine come procede?

“Per prima cosa esamino e documento fotograficamente le caratteristiche delle macchie di sangue che rinvengo sulle superfici dell’ambiente nel quale si è svolta l’azione delittuosa o una parte di essa. Mi concentro in particolar modo sulla loro dimensione, forma, distribuzione e sul loro aspetto. In base alle caratteristiche individuate provvedo alla loro classificazione impiegando una terminologia tecnica, riconosciuta in ambito internazionale, la quale classifica le macchie di sangue in funzione della tipologia di evento che le ha originate. Infine acquisisco i dati contenuti nelle consulenze tecniche medicolegali e negli atti redatti dagli investigatori al fine di confrontarli con la mia ipotesi ricostruttiva”.

Come si fa a comprendere qual era la posizione della vittima nel momento in cui veniva colpita dal suo aggressore?

“Innanzitutto si devono individuare sulle superfici imbrattate di sostanza ematica le macchie di sangue caratterizzate da una morfologia ellittica. Generalmente questa tipologia di macchie si origina in seguito all’impatto di un oggetto su del sangue liquido. Si pensi, ad esempio, a una spranga che colpisce la testa della vittima. Ciò determinerà una lesione dalla quale fuoriuscirà del sangue che, per effetto della compressione dell’oggetto, si disperderà nell’ambiente sotto forma di piccole gocce dal cui impatto con altre superfici si origineranno delle macchie di forma allungata. Ebbene, rilevando le dimensioni di quest’ultime e applicando delle formule trigonometriche, lo specialista potrà individuare la distanza compresa tra la superficie d’impatto e la ferita, potendo dedurre così la posizione della vittima”.

Dalla sola analisi delle macchie di sangue è possibile stabilire il numero di colpi inferti alla vittima?

“Da un attento esame delle macchie di forma ellittica, lo specialista potrà individuare la direzionalità di volo delle gocce di sangue, dalle quali esse originano, prima del loro impatto sulla superficie. Questa informazione è molto importante in quanto permetterà, allo stesso, di comprendere se le macchie osservate, su una determinata superficie, siano state originate dal medesimo evento oppure da eventi diversi".

Perché?

"Se la direzionalità di ciascuna delle macchie esaminate tenderà a convergere idealmente in un’unica area circoscritta, lo specialista potrà attribuire la loro origine, verosimilmente, al medesimo colpo inferto dall’aggressore. Al contrario l’esperto potrà ipotizzare che le stesse siano state originate da un colpo diverso da quello precedentemente individuato. In ogni caso, a conferma di tale ipotesi ricostruttiva, si dovranno confrontare i dati raccolti nel corso del sopralluogo con le risultanze dell’esame autoptico condotto dal medico legale sul corpo della vittima”.

Nel caso in cui l’assassino in un primo momento non sia riuscito nel suo obiettivo omicida e decida di completare il suo intento in un secondo momento, come lo si può rilevare?

“Generalmente il rinvenimento di coaguli sanguigni sulla scena del crimine è indicativo di un intervallo di tempo trascorso tra la fuoriuscita della sostanza ematica e gli eventuali colpi inferti, successivamente, alla vittima da parte del suo aggressore".

Come mai?

"Il sangue in ambiente esterno va incontro a un fenomeno fisiologico nel corso del quale si forma la fibrina, una proteina che riveste un ruolo fondamentale nell’emostasi, ossia l’insieme di processi che permettono di arrestare il sanguinamento determinato dalla lesione di un vaso sanguigno. Per tali ragioni qualora l’aggressore dovesse tornare a distanza di tempo sulla scena del delitto e dovesse colpire nuovamente la vittima, in corrispondenza delle ferite preesistenti, oltre alla proiezione del sangue potrà determinare anche quella dei coaguli, precedentemente formati, sulle superfici adiacenti”.

Se l’aggressore dovesse alterare la scena del crimine, al fine di depistare le indagini, com’è possibile rilevarlo?

“Il sangue è un fluido e, come tale, una volta fuoriuscito dal corpo, seguirà le leggi proprie delle scienze fisiche. Infatti durante il processo di formazione di una macchia, il sangue tenderà a fluire in direzione della gravità. Per questo motivo l’aver rinvenuto sulla scena del delitto delle macchie, la cui direzionalità di deflusso del sangue appaia chiaramente in contrasto con la gravità, sarà indicativo di una possibile alterazione della scena. A tal riguardo si pensi, ad esempio, a degli oggetti che all’atto dell’aggressione si trovavano in una posizione diversa rispetto a quella in cui sono stati ritrovati nel corso del sopralluogo”.

Quanto influiscono le condizioni ambientali nell’alterazione delle tracce ematiche ai fini di un corretto rilevamento?

“Il sangue, una volta esposto all’ambiente esterno, va incontro a delle modificazioni determinate principalmente dalla coagulazione e dall’essiccamento. I tempi con i quali entrambi i fenomeni evolvono sono condizionati da numerosi fattori tra i quali la temperatura, l’umidità e la ventilazione dell’ambiente esterno. In particolare, qualora sollecitato da un fattore esterno come il vento, il sangue essiccato tenderà a sfaldarsi. Poiché ciò determina un’alterazione irreversibile alla morfologia della traccia ematica originaria, è auspicabile che lo specialista di Bpa possa intervenire quanto prima sulla scena del crimine e che quest’ultima sia preservata, al meglio, fino al suo arrivo”.

Se sulla scena del crimine interviene un terzo soggetto per prestare soccorso alla vittima e si macchia di sangue, come si fa a capire che si tratta di un innocente?

“La Bpa può aiutare gli investigatori a valutare l’attendibilità o meno delle dichiarazioni a loro rese dalle persone informate sui fatti. In linea di massima, se il soggetto ha partecipato attivamente all’azione delittuosa, sui suoi indumenti si potranno rinvenire delle macchie di sangue da proiezione, ossia prodotte dall’oggetto impiegato per colpire la vittima".

Oppure?

"Al contrario, se il soggetto ha soccorso la vittima si potranno rinvenire, sui suoi indumenti, delle macchie di sangue da trasferimento, ossia prodotte dal contatto tra una superficie pulita ed una imbrattata di sangue. L’esame delle tracce ematiche sui tessuti riveste dunque un’importanza fondamentale ai fini dell’attribuzione di eventuali responsabilità penali ai soggetti coinvolti. In particolare, la distinzione di queste due tipologie di tracce ematiche sarà possibile grazie alla loro osservazione, a specifici ingrandimenti, mediante l’impiego di un microscopio ottico”.

C’è un caso particolare in cui ha operato che ci vuol raccontare?

“Tra i vari casi nei quali ho operato finora, ce n’è uno in particolare che merita di essere raccontato, vista l’attualità del tema. Qualche anno fa mi sono occupato di un omicidio avvenuto all’interno di una abitazione, in una cittadina del nord Italia. La vittima, un uomo sulla sessantina, era solito maltrattare la propria compagna aggredendola fisicamente. Un giorno, in uno dei suoi scatti d’ira, l’uomo le ha puntato un coltello alla gola. A quel punto la donna ha estratto un coltello da uno dei cassetti della cucina e glielo ha conficcato al petto ferendolo mortalmente".

E poi?

"Anche in questo caso l’analisi delle tracce ematiche si è rilevata fondamentale ai fini della ricostruzione della possibile dinamica delittuosa. È stato possibile infatti individuare i diversi movimenti compiuti sia dalla donna che dall’uomo, in seguito al suo accoltellamento.

Grazie alla ricostruzione degli eventi, da me prospettata, la donna è stata assolta dalla Corte, in entrambi i gradi di giudizio, per legittima difesa”.

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