Gli Stati caraibici stanno aiutando l'America nelle operazioni militari svolte contro i narcos del Venezuela. La Repubblica Dominicana e Trinidad e Tobago hanno scelto di ospitare forze militari e strutture logistiche per facilitare i piani del Pentagono, mentre Grenada, seppellita l'ascia di guerra dopo gli anni '80, sta valutando la medesima possibilità.
Mentre il dispositivo militare statunitense dei Caraibi continua ad ampliarsi come non accadeva dalla Guerra Fredda, e la tensione tra Stati Uniti e Venezuela cresce, la Casa Bianca e il Pentagono chiedono il supporto dei piccoli Stati caraibici, disegnando una nuova strategia che combina contrasto al narcotraffico alla pressione politica e alla proiezione di forza nella regione. Così la disponibilità dei governi che sembrano tornare a svolgere il ruolo di "cortile di casa" di una superpotenza, amplia il margine operativo di Washington.
La Repubblica Dominicana ha autorizzato la presenza di personale e di aerei militari statunitensi presso le aree riservate della base di San Isidro e dell’aeroporto Las Américas, dai quali potranno operare per "rifornire e trasportare equipaggiamenti e personale tecnico", garantendo agli Stati Uniti infrastrutture chiave a ridosso del Venezuela. Il presidente dominicano Luis Abinader ha parlato del narcotraffico come una “minaccia che non riconosce confini”, mentre il segretario alla Difesa Pete Hegseth descrive l’accordo come un “modello per la regione”, lasciando ipotizzare che la cooperazione militare potrebbe anche trasformarsi in un dispositivo duraturo come segno di un legame politico più ampio.
Anche Trinidad e Tobago ha deciso di concedere il suo supporto alla crociata statunitense, accettando la presenza di un certo numero di Marines americani impegnati "con una pista aerea e un sistema radar per la sorveglianza" all’aeroporto di Tobago. La premier Persad-Bissessar comunque tenuto a sottolineare che il governo di Port of Spain "non sta per lanciare alcuna campagna contro il Venezuela", aggiungendo: "L'ho detto molto chiaramente, a Trinidad non è stato chiesto di essere una base per alcuna guerra contro il Venezuela".
Anche in questo caso, infatti, si tratta di un supporto a livello di logistica e intelligence contro il traffico dei "narcoterroristi" che respinge qualsiasi collegamento con un intervento militare contro Caracas. Questo tipo di modernizzazione delle installazioni, seppur giustificata da esigenze interne, rafforza comunque la rete di monitoraggio statunitense nel Mar dei Caraibi.
È già noto da questo autunno che Porto Rico e le Isole Vergini americane stanno vivendo una "riattivazione silenziosa" ma significativa delle installazioni militari americane. Ne è esempio la base navale di Roosevelt Roads, chiusa nel 2004 e tornata ad accogliere aerei da trasporto, elicotteri da combattimento e anche una squadriglia di aerei da caccia F-35. La sua posizione strategica, a metà strada tra Florida e coste del Venezuela, offre agli Stati Uniti un ulteriore asset per lanciare e ricoverare velivoli di ogni tipo, dai caccia agli aerei spia.
Il dossier più delicato riguarda Grenada, dove Washington ha chiesto l'installazione temporanea di radar e personale tecnico presso l’aeroporto internazionale Maurice Bishop. La memoria dell’invasione del 1983 rende ogni decisione politicamente sensibile, e il governo di Dickon Mitchell procede con cautela. Le valutazioni tecniche citate dal premier sembrano rivelare un equilibrio difficile: rispondere all’interesse americano senza riaprire ferite storiche né compromettere la percezione di sovranità nazionale.
La geometria del sostegno caraibico mostra un mosaico di collaborazione esplicita e prudenza diplomatica in cui gli interessi interni e la politica estera si intrecciano con la volontà degli Stati Uniti, che continuano a intensificare le operazioni offensive nel "conflitto armato non internazionale” che ha già provocato la morte di oltre 80 persone, portando avanti una lotta indiscriminata al narcotraffico, mentre la Casa Bianca continua a fare pressione sul presidente Nicolás Maduro affinché abbandoni Caracas con garanzie americane non trattabili.
In questo delicato equilibrio, in cui il Venezuela continua a mobilitare truppe e milizie popolari, i piccoli Stati della regione dei Caraibi che cercano di trasformare la propria
vulnerabilità geografica in leva negoziale, rischiano, nonostante le loro dichiarazioni, di rendersi asset in un confronto che rischia di scivolare in una escalation militare dalle conseguenze incerte e in un certo senso completamente imprevedibili.