Ecco a voi Zavattini, una biografia raccontata in ordine alfabetico

Guido Conti cura un libro corale dedicato alla fantasia creativa di un intellettuale totale

Ecco a voi Zavattini, una biografia raccontata in ordine alfabetico

Per una vita come quella di Cesare Zavattini (1902-89) - ottant'anni di letture, scrittura, giornalismo, cinema, teatro, arte, televisione, poesia, pittura, fumetto, pubblicità, 50 libri pubblicati fra romanzi, raccolte di racconti, saggi e poesie, più di 80 film in cui ha messo mano fra soggetto e sceneggiatura, decine di giornali fondati o diretti e migliaia di articoli scritti - ci voleva un volume così: Zavattini A-Z (Electa): 336 pagine, più di cento illustrazioni, formato 17x24 con cofanetto, un curatore d'eccezione Guido Conti, superesperto della materia - e un folto numero di critici e scrittori che si sono divisi le 80 voci in cui, dalla A alla Z, sono declinate vita, opere e omissioni (poche: lui si occupò di tutto) di Cesare Zavattini, detto peraltro, dalla Z alla A, Za. Tra i contributors: Roberto Barbolini (perfetta la voce "Giornalismo"), Andrea Cortellessa (da leggere "Antonio Ligabue", pittore naïf, come si diceva allora, per il quale Zavattini aveva una vera passione, dedicandogli un poemetto e la sceneggiatura di un serial Rai andato in onda nel 1977 con un memorabile Flavio Bucci), Michele Guerra (che qui si occupa di "Neorealismo": voce imprescindibile), Gualtiero De Santi (il primo a organizzare un convegno dopo la morte di Zavattini, che firma diverse voci, tra cui quella dedicata a "Gabriel García Márquez", scrittore che in un paio di occasioni si stupì che nessuno avesse messo in relazione il realismo visionario di Zavattini con il realismo magico sudamericano), Amedeo Anelli (sulla poetica zavattiniana del "Fantastico"), Vanni Codeluppi (studioso di "Pubblicità": sì, Zavattini si occupò anche di quella, e a un certo puntò propose di istituire una rubrica di critica della pubblicità intitolata Non mi piace, una sorta di "controcarosello" insomma), Daniela Marcheschi (ottima la voce "Umorismo", parola-chiave per l'opera di Zavattini), Stefania Parigi (che ricostruisce i rapporti fra Za e la "Televisione"), Gino Ruozzi (sua la voce capitale "Luzzara", luogo di nascita e della felicità zavattiniana)...

Sempre felice del suo lavoro, vulcanico, traversale, frenetico e culturalmente rivoluzionario, Cesare Zavattini è uno di quegli intellettuali "totali" che hanno segnato il Novecento italiano, e la cui forza fu quella di lavorare contemporaneamente su più tavoli, dalla narrativa al cinema, dall'editoria al giornalismo, dalla cultura popolare alla poesia (ci vengono in mente Guareschi e Pasolini...). Ha attraversato le redazioni di decine di giornali, dalla Gazzetta di Parma alle riviste femminili, dai settimanali popolari alle testate di regime (si iscrisse al partito fascista nel '31, senza convinzione, "Se no perdevo il posto", confessò, ma leggendo il romanzo La notte che ho dato uno schiaffo a Mussolini, uscito nel 1976, si capisce il senso di colpa che lo inseguì per anni perché quello schiaffo avrebbe voluto darlo al Duce nel '30 o nel '40, ma come tanti non ne ebbe il coraggio). Ha scritto libri fortunatissimi, a partire da Parliamo tanto di me, più che un vero romanzo un "romanzo di racconti", pubblicato da Valentino Bompiani nel 1931 e che riscosse un grandissimo successo. Ha firmato tutti i capolavori del neorealismo, da Sciuscià (1946) a Ladri di biciclette (1948), da Miracolo a Milano (1951), tratto dal suo romanzo Totò il buono, a Umberto D. (1952): e bisogna assolutamente leggere la voce "Vittorio De Sica" per capire il rapporti fra i due. Non solo. Fu malato di collezionismo (celebre la sua raccolta di quadretti di formato 8x10 centimetri che commissionò a tutti i grandi pittori del tempo, da Campigli, il primo a regalargliene uno, a Afro, Balla, Burri, Baj, Carrà, Depero, De Chirico, Casorati, Guttuso, Manzù, Marini, Schifano... arrivando a circa 1500 opere). E poi fu soggettista di fumetti, fu un fan di Charlot, inventò negli anni '60 i "Cinegiornali liberi" con l'obiettivo di creare un cinema accessibile a tutti, specchio della realtà e portatore di valori sociali, fu un inguaribile diarista (sono stati pubblicati tre volumi che coprono il periodo fra il 1941 e la morte) e tanto altro ancora...

Libro corale orchestrato da Guido Conti, Zavattini A-Z (che ha un inserto fotografico ricchissimo, fra copertine, locandine di film, riviste e giornali, quadri e fotografie, alcune molto rare, come quelle di Zavattini sul set del suo unico film da regista, La Veritaaaà, anno 1982, una vera "pazzia" cinematografica, in tutti i sensi, e che potete vedere su Raiplay ad esempio) insegna che Zavattini va letto nella sua totalità, rivalutando anche il suo lavoro sulla pittura o sulla fotografia, sui fumetti o sulla poesia dialettale. E rivela alcune cose. Ad esempio.

Uno. L'internazionalità di Zavattini: da Cuba al Sudamerica, dal Portogallo ai Paesi dell'Est, Za, che non parlava altra lingua oltre l'italiano, fu tra gli anni '50 e '70 un infaticabile ambasciatore della cultura italiana nel mondo, tessendo una fittissima rete di conferenze, festival, seminari, convegni, pubblicazioni e co-produzioni cinematografiche per collegare il nostro cinema, la nostra letteratura, la nostra arte al resto del mondo. Due. Il rapporto, molto sottovalutato finora, con Bruno Munari (un'amicizia tutta da raccontare, che inizia con le sperimentazioni grafiche e fotografiche all'Almanacco Letterario Bompiani nel 1933). Tre.

Lo strano "legame" con Pier Paolo Pasolini, il quale legge e recensisce sul Tempo nell'aprile 1974 la raccolta poetica in dialetto di Zavattini Stricarm' in d'na parola che finisce, curiosamente, con un "Congedo" in cui lo scrittore confessa che lui sa "cose" su persone che comandando in Italia che potrebbero costargli caro (ma non riesce a fare i nomi perché, nella finzione, qualcuno bussa alla sua porta e lo uccide); Pasolini sei mesi dopo sul Corriere della sera pubblica il suo famoso corsivo "Io so". Un anno prima di essere ucciso.

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