Economia

I big dell'auto tedeschi dribblano la crisi dei chip. Battaglia Ue sull'elettrico

Mercedes, Bmw e Vw vicine alla soluzione delle forniture. I timori su tassi e inflazione

I big dell'auto tedeschi dribblano la crisi dei chip. Battaglia Ue sull'elettrico

Dalla Germania arrivano segnali positivi sui microchip, la cui carenza sta rallentando e bloccando le fabbriche di auto e camion. Mercedes-Benz, Daimler Trucks, Bmw e Volkswagen - come riferisce Bloomberg - sarebbero prossimi a riprendere a sfornare veicoli a pieno regime. La good news coincide, però, con uno scenario preoccupante tra inflazione che galoppa e caro energia. Martedì, inoltre, a Bruxelles si apre il dibattito sul «tutto elettrico» dal 2035. Resta ora da vedere se per gli altri «big», tra cui Stellantis, che comunque sono riusciti a gestire la crisi dei chip, vale la stessa indicazione.

«I problemi di approvvigionamento - dicono in casa Mercedes - rimangono ancora qua e là, ma niente in confronto al 2021». E da Bmw: «Situazione un po' più stabile», ma non viene esclusa la possibilità di nuove interruzioni. Diverso l'atteggiamento in Volvo Trucks dove si attende un impatto negativo dal problema sulla produzione del secondo trimestre.

La crisi dei microchip, per lo più prodotti a Taiwan e dintorni, era esplosa a causa della pandemia da Covid-19 e i lockdown collegati, cogliendo in contropiede i costruttori. Ma se questo nodo si starebbe lentamente per sciogliere, a preoccupare il settore è come risponderà la domanda dei consumatori tra boom dell'inflazione e tassi d'interesse in crescita. Una prima risposta è arrivata da Tesla, dove Elon Musk intende lasciare a casa 10mila dei quasi 100mila dipendenti.

Fin qui i pareri raccolti da Bloomberg, tenendo anche conto che proprio nei giorni scorsi il colosso taiwanese dell'elettronica Foxconn, tra l'altro partner di Stellantis, aveva annunciato di «vedere una seconda parte di 2022 più serena dal punto di vista dell'approvvigionamento di semiconduttori», grazie anche all'allentamento dei blocchi nelle fabbriche in Cina, chiuse per i contagi da Covid-19.

La nuova settimana, intanto, si aprirà all'insegna della votazione plenaria, a Bruxelles, sul «Fit for 55», il cui esito sarà poi dibattuto al Consiglio europeo, per poi arrivare alla «convergenza» tra i testi dell'Aula e del Consiglio. In proposito, la Commissione Ue richiede che le emissioni medie di CO2 delle nuove auto scendano del 55%, dal 2030, per arrivare dal 2035 a zero. Gli Stati membri, inoltre, dovranno investire sulle colonnine di ricarica, installando punti a intervalli regolari sulle principali autostrade: ogni 60 chilometri per la ricarica elettrica e ogni 150 chilometri per il rifornimento di idrogeno. Dal 2035 saranno così bloccate le produzioni di motori Diesel e benzina, a beneficio del solo elettrico. Tra i tanti timori espressi c'è la «dismissione della filiera automotive europea», con le ripercussioni sull'occupazione, allarme lanciato da Paolo Scudieri (Anfia), e il rischio di essere sempre Asia-dipendenti per le materie prime.

«Molte delle storture su cui stiamo combattendo - precisa Massimiliano Salini (Forza Italia), Commissioni Industria, Trasporti e Commercio internazionale - sono, ahimè, diventate pensiero comune in tutte le forze politiche, incluso il PPE, con la propensione a ideologizzare il dibattito, staccandolo dalla realtà. Sulla neutralità tecnologica, insieme ad altri, abbiamo spuntato qualche deroga, ma sulla battaglia generale, a quanto pare, il voto andrà in una direzione diversa dalla nostra. Purtroppo, vediamo un approccio anti-industriale: un modello di transizione che, in realtà, è una distruzione di valore.

Lo sviluppo della sostenibilità ambientale deve avvenire anche dai punti di vista economico e sociale».

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