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"Misura punitiva, abrogate il decreto". Il delirio della Ong

Non essendo più libere di imporre la loro ideologia pro-immigrazione in Italia, ora le Ong continuano nei loro attacchi al governo Meloni

"Misura punitiva, abrogate il decreto". Il delirio della Ong

Il governo di Giorgia Meloni ha scelto di seguire una direzione contro l'immigrazione illegale e di non fare passi indietro. L'esecutivo è stato democraticamente scelto dagli italiani e solo a loro deve rendere conto delle sue azioni, non alle Ong. Pertanto appare quanto meno sconveniente che delle organizzazioni straniere, che armano navi battenti bandiera straniera, pretendano di legiferare nel nostro Paese, di interferire con le decisioni del parlamento e del governo e di rimanere impuniti in caso di violazione delle norme. Eppure, la sinistra italiana appoggia questo comportamento che mina la sovranità nazionale in nome dell'arbitraria volontà di sbarcare in Italia i migranti, che nella maggior parte dei casi non hanno alcun diritto alla tutela internazionale e sono per lo più di tipo economico.

L'attacco al governo della Ong

E così, le organizzazioni non governative si sentono in diritto di attaccare il governo e, quindi, la democrazia italiana. L'ultimo affondo proviene dalla Ong tedesca Sea-Watch, che riceve finanziamenti sia dal parlamento tedesco che dalla chiesa evangelica teutonica. "Il nuovo decreto è l'ennesima misura punitiva nei confronti delle Ong. Prosegue la criminalizzazione dell'obbligo di soccorso, istituzionalizza l'omissione di soccorso delle persone in pericolo in mare e la facilitazione del respingimento delle persone in Libia", scrive in una nota Giorgia Linardi, portavoce dell'organizzazione. Certo, per Sea-Watch e altre Ong che negli ultimi anni hanno armato navi di grande stazza, capaci di prendere a bordo centinaia di persone e di rimanere in mare per settimane, dev'essere un duro colpo economico il decreto che impone di lasciare la zona Sar libica dopo il primo soccorso anche se con poche decine di persone a bordo. Ma non è una questione che rientra tra quelle che possono interessare il governo italiano, il quale risponde agli obblighi di soccorso assegnando un porto qualora le venga chiesto.

La solita narrazione pro-immigrazione

"Chiediamo l'abrogazione di questo strumento legislativo che non gestisce i flussi migratori ma anzi si riferisce semplicemente al 15% di essi, che sono le persone soccorse dalle Ong, e lascia fuori il 75% , punendo le Ong invece di guardare alla tutela della vita dei naufraghi che continuano a essere numerosi e a morire nel Mediterraneo centrale", conclude la nota di Sea-Watch. Il tentativo di far passare il decreto come misura punitiva rientra nella narrazione delle organizzazioni, le quali volontariamente soprassiedono sull'obbligo di difesa dei confini da parte di uno Stato sovrano. Oltre che su numerose altre norme, anche del diritto internazionale, che viene da loro interpretato a piacimento. Ed è paradossale, se non offensivo, che un'organizzazione chieda l'abrogazione di un decreto per poter continuare a effettuare i trasferimenti di chi, che nella maggior parte dei casi, si mette volontariamente in pericolo. Non per scappare dalle guerre ma solo per raggiungere Paesi più ricchi.

La distorsione della realtà da parte delle Ong

Egiziani e tunisini, che provengono da due Paesi nei quali gli europei sono soliti trascorrere le loro vacanze, quindi considerati più che sicuri, scelgono volontariamente di raggiungere la Libia per imbarcarsi su carrette del mare che a stento si mantengono a galla. Non sono costretti da persecuzioni o guerre a lasciare il loro Paese, eppure rappresentano la percentuale più alta di migranti giunti via mare. Se l'ordinamento giuridico del nostro Paese non è di gradimento per le Ong, esistono altri Paesi che si affacciano sul Mediterraneo in cui fare una richiesta di porto. È stata dimostrata la capacità delle Ong di raggiungere porti ben più distanti di quelli siciliani, quindi è possibile per loro raggiungere la Francia, la Croazia, il Montenegro e l'Albania. Per non parlare di Malta e Tunisia, geograficamente ancora più vicini dell'Italia.

Ma solo il nostro Paese è quello che viene messo sotto pressione dalle Ong, che prima o poi dovranno spiegare il motivo.

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