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Business, conflitti di interesse, rimborsi: i dettagli degli affari di Zan e Lady Franceschini sui diritti

Un'inchiesta Report sulle stranezze delle operazioni commerciali messe in piede dai due deputati del Partito Democratico: dalle sponsorizzazioni alle nomine nei Cda, passando per i ristori per il Covid

Business, conflitti di interesse, rimborsi: i dettagli degli affari di Zan e Lady Franceschini sui diritti

Alessandro Zan è titolare della società che organizza il Pride di Padova e che incassa oltre un milione di euro dai vari Festival Lgbtqia+. L'ultima puntata di Report, andata in onda questa sera su Rai3, ha mascherato il business sui diritti civili degli omosessuali - cavallo di battaglia di Elly Schlein - che è stato messo in atto proprio dal parlamentare del Partito Democratico che aveva dato il proprio nome alla discussa proposta di legge sull'omotransfobia che aveva caratterizzato il dibattito per gran parte della scorso legislatura. Il vaso di Pandora è stato scoperchiato in diretta durante la trasmissione condotta da Sigfrido Ranucci. Oltre a Zan, in questa vicenda che ha tutte le sfaccettature di un conflitto di interesse è implicata anche Michela Di Biase, anche lei deputata dem nonché moglie di Dario Franceschini, più volte ministro e membro fondatore del Pd. Ricapitoliamo i fatti emersi dal servizio-inchiesta.

Durante il programma il commercialista e revisore legale Stefano Capaccioli spiega che "il Pride Village di Padova è della società Be Proud Srl, costituita con 3mila euro da tre soci". Si tratta di una società commerciale che nel 2022 ha incassato più di un milione e 300mila euro, "di cui oltre 700mila euro di corrispettivi di ingresso e oltre a 450mila euro dagli incassi del bar". Del resto, con 200mila presenze ogni anno, Report ha inquadrato le proporzioni del business e del considerevole ritorno economico che comporta: nell'area "beverage", per esempio, c'è un privé, con quota d'ingresso da 25 euro a persona, e consumazione minima al tavolo da 160 euro. Non esattamente dei prezzi popolari. Chi decide di rimanere in piedi, invece, paga 10 euro e non ha diritto alla consumazione, che deve pagare a parte.

Spuntano i ristori per il Covid

La società agisce in partnership con Virgo, un fondo di investimento che punta sull'inclusività e che, per abbinare il suo brand all'evento, ha finanziato con 4 milioni di euro dei non meglio definiti "progetti sul tema". Altra importante sponsorizzazione è quella del Comune di Padova, guidato da Sergio Giordani, sindaco civico molto vicino al Pd. Sul sito web dell'evento organizzato da Alessandro Zan ci sono poi anche i loghi dei partner, in prevalenza società energetiche e della mobilità green, ma non mancano i big del beverage. Il ruolo di Zan è quello di "amministratore unico e socio maggioranza", spiega l'esperto: nei fatti, il deputato del Partito Democratico "è il beneficiario economico effettivo".

A Padova Zan è stato raggiunto dall'inviato di Report, che gli ha chiesto se il Pride sia un evento commerciale e se lui non ci vede una stranezza nel possedere una società che ha comunque un giro d'affari sugli stessi temi su cui lui conduce delle battaglie in Parlamento. La risposta dell'ex assessore del Comune di Padova è parecchio evasiva: "È un evento dove tutto quello che viene guadagnato viene riversato nell'iniziativa, e dunque non c'è nessun tipo di guadagno". Sul possibile conflitto di interesse con le lotte per i diritti civili, Zan replica di avere "prestato il mio nome per dare una mano, ma lo faccio con lo spirito di servizio e a titolo gratuito". C'è poi un'ulteriore criticità, probabilmente la più pesante quantomeno nella forma: ovvero i contributi pubblici ottenuti. La Be Proud, infatti, ha superato le difficoltà della pandemia anche grazie agli aiuti dello Stato, ovvero oltre 180mila euro di ristori per il Covid-19, senza i quali il bilancio 2021 avrebbe chiuso in perdita. Tuttavia, nell'ultimo anno e mezzo la società ha versato 50mila euro nelle case del Pd nazionale e locale.

Il ruolo di Lady Franceschini

La Di Biase, come risulta dalla dichiarazione patrimoniale pubblicata da Montecitorio, è socia al 25% di un'agenzia, la Obiettivo Cinque. Sul suo sito quest'ultima "si impegna affinché la parità di genere sia principio fondamentale per una società inclusiva e sostenibile, dove successo economico e benessere sociale vadano di pari passo. Obiettivo Cinque - si legge ancora - supporta le imprese a promuovere e sostenere un impegno concreto per una società inclusiva", con collaborazioni con grandi aziende. Qualche esempio? Novartis, Gucci, Philip Morris, Generali, Ibl Banca. Nel portafoglio c'è anche Comin & partners, un'importante agenzia di comunicazione e pr. Lorenzo Vendemiale e Carlo Tecce, i due autori dell'inchiesta di Report, analizzano questo legame e scoprono che il link è Elena Di Giovanni, vicepresidente e co-fondatrice di Comin & Partners (pur senza ruoli operativi). La Di Giovanni ha anche contribuito a costituire Obiettivo Cinque, insieme alla Di Biase, la quale ha anche sfruttato le sue informazioni privilegiate di cui dispone a palazzo.

Infatti, coincidenza vuole che Obiettivo Cinque è nata sette mesi prima della legge che regola la certificazione sulla parità di genere e, secondo quanto confidato da una manager della società, lei avrebbe saputo dell'imminente entrata in vigore grazie alle sue entrature politiche. Obiettivo Cinque avrebbe poi contribuito negli scorsi mesi a modificare un altro decreto in Parlamento, scrivendo i contenuti di un emendamento ad hoc per fare rientrare la certificazione per la parità di genere nel nuovo codice dei contratti pubblici. Un intervento normativo che ha avuto come conseguenza di aumentare il valore della certificazione (e quindi il giro di affare) per aziende come questa. Ma non è tutto, perché proprio suo marito, Franceschini, quando era ministro della Cultura aveva nominato Gianluca Comin ed Elena Di Giovanni (socia della Di Biase) nel Cosiglio di Amministrazione del Teatro dell'opera e della Galleria Nazionale di Roma. Nella sua replica alla trasmissione, Michela Di Biase dichiara che l'odea di fondare la società era avvenuta del 2020 e che lei non ha mai avuto interlocuzioni politiche finalizzate a intervenire sulla normativa in materia.

Una versione che stride con quella della manager.

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