
Qualcuno fischietta, altri minimizzano, altri ancora si arrampicano sui vetri: i protagonisti del grande circo mediatico, politico e ovviamente giudiziario, che per trent'anni ha dato la caccia a Silvio Berlusconi membro o quantomeno simpatizzante di Cosa Nostra, hanno marcato visita di fronte all'idea di pubblicare o commentare la notizia che la Cassazione ha ritenuto fantasiose e quindi prive di alcun fondamento le ipotesi di un legame tra il Cavaliere e la mafia. La libera informazione italiana, quella che in queste ore sostiene che in Italia con le destre al governo i giornalisti rischiano grosso, si auto censura (a questa sera la notizia è poco più che clandestina, pur essendo nota da oltre un giorno) pur di non dovere fare i conti con la realtà. Il sito della Repubblica si supera e addirittura titola, quasi in fondo alla homepage: «La sentenza che non c'è», affidando alla penna di Lirio Abbate una nota che in Amici miei Ugo Tognazzi non avrebbe avuto dubbi a qualificare come «Supercazzola con scappellamento a destra» (nel caso in questione, a sinistra). Una stampa che si impicca ai propri errori è di per sé una stampa non libera e pericolosa, ed è la stessa stampa che ha seguito supina gli anni da premier di Mario Monti prima e Mario Draghi poi (memorabili gli applausi dei giornalisti alla conferenza di fine anno di Draghi); la stessa che non è scesa in piazza quando Beppe Grillo e il suo Movimento 5 Stelle compilavano settimanalmente la lista di proscrizione di giornalisti non graditi di cui mi onoro di aver fatto parte sempre in posizioni apicali; la stessa stampa che non si indignò più di tanto quando sotto un governo di sinistra quello guidato da Enrico Letta il sottoscritto venne arrestato, secondo caso nella storia repubblicana dopo quello di Giovannino Guareschi.
Nascondere una notizia («Berlusconi non ha mai avuto a che fare con la mafia») che ribalta trent'anni di narrazione avvelenata (probabilmente dalla mafia stessa) che ha provocato enormi danni non solo all'interessato ma all'intero Paese, è cosa che non può fare onore alla categoria. E che la rende ancor più ridicola quando indica in Giorgia Meloni un pericolo per la sua indipendenza e libertà.