 
Il voto in Senato di giovedì 30 ottobre ha spalancato le porte alla possibilità di organizzare un referendum confermativo sul disegno di legge costituzionale sulla giustizia, voluto fortemente dal ministro Carlo Nordio, che prevede - tra le varie norme - l'introduzione della separazione delle carriere dei magistrati. L'approvazione della riforma ha visto delle pesanti spaccature tra le forze di opposizione: non solo all'interno delle Aule del Parlamento, per cui Italia Viva si è astenuta e Azione ha addirittura sempre votato a favore in tutte e quattro le letture, ma anche al di fuori degli ambienti frequentati attualmente dai rappresentanti eletti. Tra coloro che si sono espressi fin d'ora al Sì al quesito referendario ci sono infatti diversi nomi e volti storici della sinistra che hanno deciso di non sposare le direttive di partito giunte dal campo largo sul No al provvedimento della maggioranza di centrodestra.
Tra gli esponenti politici più famosi del centrosinistra che fu spicca senz'altro quello di Antonio Di Pietro. L'ex magistrato ed ex leader dell'Italia dei Valori non ha dubbi: "Voterò sì al referendum. Io sono sempre stato favorevole, fin dal 1989 con la riforma del sistema inquisitorio e del sistema accusatorio. All'epoca non c'era ancora Berlusconi e non ci aveva messo il cappello". Il simbolo di Mani Pulite ritiene infatti che questa riforma contenga altri due punti focali, oltre a creare una creare una suddivisione tra magistratura inquirente e giudicante, che bisogna spiegare ai cittadini. "L'estromissione del Consiglio Superiore della Magistratura dalle scelte disciplinari sui magistrati e l'introduzione del sorteggio per togliere potere alle correnti. Credo che su questo molti magistrati siano favorevoli, e anche Nicola Gratteri. Quindi voglio valutare questa riforma non perché l'ha fatta il centrodestra". E, già che c'è, Di Pietro bacchetta gli ex colleghi che sono sulle barricate: "La vera ragione per cui l'Associazione Nazionale dei Magistrati si oppone è una: la riforma prevede la costituzione dell'Alta Corte di Giustizia e il sorteggio del Csm. Due punti sui quali l'Anm è ferocemente contraria".
Tuttavia, non c'è solo "Tonino" ad avere detto di "sì", ad esempio, sono anche diversi. A sinistra, infatti, di discute da tempi non sospetti sulla separazione delle carriere e non a caso c'è chi, come Claudio Petruccioli, ha ricordato come all'epoca della Bicamerale di Massimo D'Alema del 1997-1998 sia lui, storico dirigente del Pci e del Pds, sia altri senatori firmarono una serie di emendamenti che prevedevano proprio la ripartizione tra i percorsi dei pubblici ministeri e quelli dei giudici e la divisione in due sezioni del Consiglio Superiore della Magistratura. Ed è proprio per questo motivo che una fetta consistente del gruppo dirigente che risiede ancora adesso al Nazareno si trova spiazzato (per non dire imbarazzato) davanti a una riforma che era presente pure nella mozione Martina del congresso del Partito Democratico del 2019.
Insieme a Petruccioli, che ha già comunicato ufficialmente che voterà sì, si affiancheranno a sostegno del ddl Nordio anche Goffredo Bettini, Enrico Morandi, Claudia Mancini, Giorgio Tonini, Vincenzo De Luca - che ha definito la separazione delle carriere un passaggio "indispensabile" e Stefano Ceccanti, il quale spiega così la propria decisione: "Perché sono 25 anni con l'associazione Libertà Eguale che spieghiamo come il nuovo codice varato su ispirazione di Giuliano Vassalli comporti, come diceva lo stesso Vassalli, la separazione tra chi accusa e chi giudica. Dunque nel nostro caso non è un Sì che non ti aspetti".
Non è da meno Emma Bonino, storica esponente del Partito radicale, che sposa in toto l'impianto della riforma della giustizia: "La separazione delle carriere è sempre stata una battaglia mia e di Marco Pannella". Insomma: Pd, 5 Stelle e Avs dovranno fare in fretta per trovare per trovare altri testimonial politici extraparlamentari che siano per il No.