
Mancano ormai cinque giorni all'apertura dei seggi in tutta Italia per fare esprimere i cittadini italiani sul referendum abrogativo che, in questa circostanza, verterà su cinque diversi quesiti. Si vota domenica 8 giugno dalle ore 7 alle 23 e lunedì 9 giugno dalle 7 alle 15, in concomitanza con il ballottaggio che avverrà in undici comuni e insieme al primo turno delle amministrative in sette località della Sardegna. Gli aventi diritti al voto potranno decidere se abolire o meno parti di provvedimenti che riguardano la riforma del mercato del lavoro e l'accoglienza e l'integrazione dei migranti nel nostro Paese. Al di là dei risultati finali per essere validi i referendum devono raggiungere un quorum: deve votare almeno il 50% più uno della popolazione maggiorenne che gode dei diritti politici. Ma cosa succede esattamente in caso di successo del sì o del no nel prossimo finesettimana? Andiamo a vedere nel dettaglio.
Referendum sui licenziamenti illeggittimi
Il primi quesito referendario, stampato su scheda verde chiaro, riguarda il cosiddetto Jobs Act e chiede di votare l'abrogazione la parte della legge che contiene la disciplina sui licenziamenti previsti dal contratto a tutele crescenti, introdotto nel 2015 dal governo Renzi e già oggetto di varie sentenze e interpretazioni della magistratura. Se vincesse il sì, si consentirebbe il reintegro del lavoratore licenziato illegittimamente che, a causa della cancellazione dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (modificato dalla legge Fornero), oggi non ne ha diritto. In caso di trionfo del No, questa parte del Jobs Act resterebbe invariata: il reintegro del dipendente in azienda, quindi, potrà continuare ad avvenire solo quando c'è stato un licenziamento discriminatorio, per ragioni legate a idee politiche o religiose, durante la maternità o il congedo matrimoniale o viene intimato solo verbalmente, oppure per licenziamento disciplinare ingiustificato. Nel altri casi resta valido l'indennizzio economico.
I limiti della relativa idennità
Sempre legato all'ambito del lavoro, il secondo quesito - che si troverà sulla scheda arancione - riguarda l'indennità di licenziamento illegittimo dei dipendenti nelle piccole imprese, che attualmente non può superare le sei mensilità: la proposta dei promotori referendari è volta a eliminare i limiti massimi di risarcimento oggi previsti in caso di licenziamento senza giusta causa nelle piccole imprese. In questo caso, se dovesse prevalere il sì, tutti questi limiti verrebbero rimossi e il risarcimento potrà essere dunque più consistente: verrà affidata al giudice la possibilità di stabilire liberamente l'ammontare del risarcimento in base alla singola situazione. Con il voto a favore del no, invece, rimarrebbe l'attuale l'indennità di un periodo massimo di non più di sei mesi.
I contratti a tempo indeterminato
Nella scheda grigia si resta ad analizzare il Jobs Act del 2015, ma in questo caso vengono trattati i contratti a tempo determinato, modificati poi dal governo Conte e successivamente dall'attuale governo Meloni con il decreto del Lavoro. Si propone, difatti, di reintrodurre l'obbligo di indicare il motivo per cui si intende utilizzare tale contratto e non uno più lungo, anche per i contratti di lavoro inferiori a 12 mesi, per garantire una maggiore tutela ai lavoratori precari. Con un successo del sì, si reintrodurrà la causale per i contratti di lavoro sotto l'anno di periodo. Se passasse il no, la normativa rimane quella vigente, che esclude per i rinnovi e per le proroghe l'esigenza delle causali per i contratti fino a quattro trimestri e ha introdotto nuove causali per i contratti tra i 12 e i 24 mesi, tra cui quella per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti in assenza della previsione contrattuale, che è possibile stipulare fino a fine anno.
La responsabilità in caso di incidenti sul lavoro
L'ultimo quesito riguardante il lavoro, stampato su scheda rosso rubino, fa riferimento al cosiddetto Testo unico del 2008 e intende ampliare la responsabilità dell'azienda committente di un appalto o un subappalto - che attualmente riguarda solo i rischi generici - per includere gli infortuni legati specificamente al tipo di lavoro svolto e alle morti nei cantieri edili. In altre parole, la responsabilità per questi incidenti ricade solamente sull'impresa che esegue il lavoro e non su quella che lo ha commissionato: il referendum vuole eliminare questa eccezione. Votando sì, si vuole estendre la responsabilità di tutti per infortuni e incidenti del lavoratore, incluse le aziende committenti che quindi potrebbero essere ritenute responsabili per danni legati ai rischi specifici dell'attività appaltata. Con una vittoria del no, le responsabilità di chi ha commissionato un appalto o un subappalto restano limitate.
Dimezzamento dei tempi per la cittadinanza italiana
Infine, la discussione sulla concessione della cittadinanza italiana agli extracomunitari. Gli elettori riceveranno una scheda gialla per votare sul referendum che propone di dimezzare il requisito relativo al periodo di residenza legale di dieci anni nel nostro Paese - fissato dall'articolo 9 della legge 91 del 5 febbraio 1992 - dopo il quale un cittadino proveniente da un Paese extra-Ue ha diritto di presentare richiesta di cittadinanza italiana. Se si è d'accordo con questo quesito, si vota sì e il periodo di residenza richiesto passa da dieci a cinque anni. Se non si condivide questo cambiamento, si vota no, rimarrà il requisito minimo attuale.
Le ragione del sì e del no sui cinque quesiti
I promotori dei quattro referendum sul lavoro ritengono necessario rafforzare le tutele sia contro i licenziamenti ingiustificati sia in materia di sicurezza. Abrogare alcune delle regole introdotte negli ultimi anni dal Jobs Act sarebbe un modo (dal loro punto di vista) per restituire dignità al lavoro, favorire l'innovazione nelle imprese e garantire un maggiore equilibrio contrattuale. L'obiettivo non è solo quello di correggere norme tecniche, ma di invertire una tendenza più ampia che ha reso il lavoro meno protetto, più frammentato e meno centrale nelle politiche pubbliche. Per quanto riguarda la cittadinanza, secondo il comitato del sì il requisito dei dieci anni non riflette la realtà di molti stranieri che vivono stabilmente in Italia e rischia di escludere anche i loro figli minori. Abbreviare i tempi a cinque anni, senza toccare gli altri criteri, come reddito e conoscenza della lingua, semplificherebbe un percorso oggi ostacolato dalla burocrazia e avvicinerebbe l'Italia agli standard di altri Paesi europei.
Chi è per il no, invece, vede nelle norme oggi in vigore un buon punto di equilibrio tra flessibilità e tutele. Il ritorno a regole più rigide non aumenterebbe la qualità del lavoro, bensì renderebbe più difficile assumere, soprattutto nelle piccole imprese, e aumenterebbe il contenzioso nei tribunali. Si sottolinea inoltre che la materia del lavoro è complessa e richiede interventi organici, non abrogazioni parziali. In questo senso, il referendum non è lo strumento migliore per affrontare temi così tecnici: una vittoria del sì lascerebbe irrisolti molti problemi strutturali del mercato del lavoro italiano. Sul dimezzamento del periodo di tempo per diventare italiano, i contrari sostengono che la legge attuale sia già adeguatamente bilanciata, oltre a sottolineare che l'Italia rilasci già adesso un numero elevato di cittadinanze rispetto ad altri Paesi. La cittadinanza è un punto di arrivo - affermano - non di partenza: ridurre il requisito di residenza potrebbe indebolire il valore dell'integrazione culturale e sociale.
Le posizioni dei partiti sul referendum: il centrosinistra si spacca
Essendo tutti quesiti referendari proposti dal centrosinistra, il mondo della politica si è spaccato a metà tra le due grandi coalizioni che includono tutti i maggiori movimenti; non mancano tuttavia degli importanti distinguo, soprattutto dentro il "campo largo". Il Partito Democratico si schiera a favore del sì su tutti e cinque i quesiti e in particolare su quelli che puntano a smantellare parti del Jobs Act, la riforma sul lavoro approvata durante da Matteo Renzi dieci anni fa. Identica posizione per Alleanza Verdi-Sinistra, mentre il Movimento 5 Stelle dice sì a quattro proposte sul lavoro e lascia libertà di coscienza sulla cittadinanza, anche se Giuseppe Conte ha dichiarato che votera sì anche in questo caso. Azione e +Europa voterà no ai quesiti sul lavoro e sì alla cittadinanza. Italia Viva, invece, voterà sì alla cittadinanza e no a tre quesiti su quattro sul lavoro, lasciando libertà di scelta sulla responsabilità dell'impresa committente in caso di incidenti ai dipendenti delle ditte in appalto e subappalto.
Una posizione nettamente più compatta quella mostrata dal centrodestra che invita i propri elettori all'astensione. Fratelli d'Italia, Lega e Forza Italia non si presenteranno alle urne, mentre la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha appena annunciato che si recerà alla propria sezione elettorale di riferimento al seggio, ma non ritirerà la scheda per votare. Così facendo, la premier contribuirà in maniera attiva a non far raggiungere al referendum il quorum. Il ministro degli Esteri e leader di Fi, Antonio Tajani, ha dichiarato: "Noi siamo per un astensionismo politico, non condividiamo la proposta referendaria.
Non andare a votare è una scelta politica, non è una scelta di disinteresse nei confronti degli argomenti. Non c'è nessun obbligo di andare a votare, è illiberale chi vuole obbligare a farlo". Noi Moderati andrà invece a votare - come ha dichiarato ka segretaria Mara Carfagna - e voterà cinque no.