
La sinistra ha una memoria corta. Cortissima. Schlein e compagni si indignano per la scelta (legittima) di Giorgia Meloni: «Vado a votare, non ritiro la scheda. È una delle opzioni», risponde la presidente del Consiglio ai cronisti che la intercettano tra l'Altare della patria e via dei Fori imperiali, a margine delle celebrazioni per la Festa della Repubblica in merito al referendum. La sinistra accende i cannoni e spara. Però dimentica quando Pd e Ds hanno fatto campagna elettorale per l'astensione. E soprattutto che uno dei padri nobili della sinistra italiana, l'ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ammetteva: «Se la Costituzione prevede che la non partecipazione della maggioranza degli aventi diritto è causa di nullità, non andare a votare è un modo di esprimersi sull'inconsistenza dell'iniziativa referendaria». Né più né meno di quello che in sostanza in queste ore sostengono Tajani, Meloni e Salvini. Eccolo il doppiopesismo della sinistra. Nel 2003 i Ds fecero campagna elettorale, con tanto di manifesti e cartelloni, per l'astensione. All'epoca ci fu una resa dei conti a sinistra. Il referendum sull'articolo 18 era stato promosso da Fausto Bertinotti, leader di Rifondazione comunista. Tornando ai tempi più recenti: nel 2016 ai tempi della segreteria di Matteo Renzi il Pd approvò in direzione nazionale la linea dell'astensione sul referendum per le trivelle. E molti di quelli che oggi gridano allo scandalo, da Boccia a Delrio, erano proprio al fianco del rottamaticano. Nel Pd la segretaria Elly Schlein attacca a testa bassa: «Meloni prende in giro gli italiani dicendo vado a votare ma non voto'. Anziché dire se è favorevole o contraria ai cinque quesiti su lavoro e cittadinanza, conferma che vuole affossare i referendum e che teme il raggiungimento del quorum perché non ritirare le schede equivale a non votare. Meloni ha paura della partecipazione». La segretaria Pd, poi, dopo aver elogiato il discorso del capo dello Stato per il 2 giugno, prova a rincarare la dose sulla Palestina: «Il silenzio del governo è complice».
Giuseppe Conte non si tira indietro: «Indigna ma non stupisce che Meloni non ritirerà la scheda e quindi non voterà al referendum dell'8 e 9 giugno in cui si sceglie se aumentare i diritti e le tutele dei lavoratori contro precarietà, incidenti sul lavoro, licenziamenti. In fondo in quasi 30 anni di politica non ha fatto nulla per tutelare chi lavora e si spacca la schiena ogni giorno, i ragazzi precari che non hanno la fortuna di aver fatto carriera in politica. È vergognoso che questo messaggio di astensione». Il promotore dei referendum, Maurizio Landini, capo della Cgil, prova ad alzare ancor di più i toni: «Io credo che sia un atto un po' irresponsabile e che nei fatti assume un significato, perchè vuol dire non cambiare assolutamente nulla e avere paura di andare a votare e difendere le proprie idee, perchè questo è un tentativo per non rendere valido in qualche modo il referendum». Poi in scia vanno anche Fratoianni e Bonelli. Il leader di Avs Fratoianni mette nel mirino la premier: «Evidentemente Meloni ha tempo da perdere per prendere in giro gli italiani». Nel manuale di istruzioni per il voto alla mano, la modalità annunciata da Meloni equivale de facto all'astensione.
L'elettore può astenersi dalla partecipazione al voto per uno o più di essi e quindi può legittimamente ritirare la scheda per alcuni referendum e rifiutarla per altri - recita il vademecum del Viminale. Al netto dei dettagli tecnici, la sinistra teme il grande flop al referendum. Il quorum è lontanissimo. Per portare gli italiani ai seggi Pd e Cgil stanno mettendo in campo tutte le armi. Da Gaza al decreto sicurezza.