Terzo mandato, di cosa di tratta esattamente e perché fa discutere regioni e governo

Dalla legge numero 165 del 2004 alla sentenza 64 del 2025 della Corte costituzionale tante sono state le discussioni sulla possibilità per i governatori regionali di restare in carica per più di due legislature

Terzo mandato, di cosa di tratta esattamente e perché fa discutere regioni e governo

La storia del divieto di un terzo mandato consecutivo per i presidenti di regione (e anche per i sindaci dei comuni con più di 15mila abitanti) dura in Italia da oramai più di vent'anni ed è ritornata prepotentemente in auge soprattutto nelle ultimissime settimane in maniera trasversale: prima la sentenza della Corte costituzionale dello scorso 9 aprile che ha vietato a Vincenzo De Luca di ricandidarsi a governatore della Campania alle elezioni regionali che si terranno tra la fine del 2025 e l'inizio del 2026, poi le dimissioni degli assessori della Lega in Friuli Venezia Giulia dopo (tra le altre cose) la chiusura annunciata da Fratelli d'Italia sull'ipotesi di estendere il limite massimo di due mandati agli amministratori locali e infine l'impugnazione odierna del governo Meloni sulla legge approvata dalla Provincia autonoma di Trento a guida centrodestra sul medesimo argomento. Ma come si è articolato il lungo percorso a livello normativo sul tema del terzo mandato?

La legge sul limite dei mandati venne introdotta nel luglio del 2004, con una legge (la numero 165) approvata da una maggioranza trasversale su proposta del governo di centrodestra presieduto all'epoca da Silvio Berlusconi: uno dei responsabili della proposta fu il ministro delle Riforme istituzionali, Umberto Bossi, storico leader della Lega Nord. La norma definì meglio alcuni aspetti di una precedente riforma costituzionale che nel 1999 aveva introdotto in maniera definitiva l'elezione diretta dei presidenti di regione. Fino ad allora - e a partire dal 1970 - i presidenti delle giunte regionali erano stati indicati dai consiglieri locali eletti con un voto proporzionale indirizzato ai partiti molto più che ai candidati. Con la svolta di ventisei anni fa, invece, i cittadini cominciarono a votare il proprio presidente, che aveva così un'investitura popolare diretta e un mandato più solido rispetto a prima.

Tuttavia, proprio contemporaneamente a questa decisione, si pose il problema di riequilibrare meglio i poteri dei presidenti con dei contrappesi. Ed ecco arrivare un lustro più tardi, al termine di un iter parlamentare abbastanza complesso, una legge che introdusse il limite dei due mandati. La proposta iniziale del governo Berlusconi non prevedeva originariamente alcun limite di mandato. Il Senato, però, s'interrogò su questa eventualità, pur nella consapevolezza che bisognava agire nel rispetto dell’autonomia regionale riconosciuta dalla Costituzione. Si stabilì dunque che le regioni potessero sì dotarsi di una propria legge elettorale, ma che questa dovesse comunque rispettare alcuni "principi fondamentali", tra i quali la "previsione della eventuale limitazione del numero dei mandati consecutivi del presidente della giunta regionale eletto direttamente". La Camera dei Deputati modificò questo passaggio che conteneva un'espressione abbastanza vaga e, dopo un dibattito piuttosto acceso, si arrivò a un accordo che soddisfaceva i partiti di vari schieramenti: ovvero quello di imporre un limite di mandati per i presidenti di regione.

Il divieto di un terzo mandato consecutivo fu introdotto in maniera un po' ambigua e intricata: tra i casi di "ineleggibilità" venne difatti annoverata la "previsione di non immediata rieleggibilità allo scadere del secondo mandato consecutivo del presidente della giunta regionale eletto a suffragio universale". Sul piano normativo fu un compromesso non molto solido, che tra l'altro lasciò il dubbio se il limite dei due mandati avesse davvero a che fare con l'"ineleggibilità" e non, come invece forse doveva essere nelle intenzioni, con l'"incandidabilità". Una differenza non irrilevante, in quanto con la prima condizione un candidato potrebbe rimuovere la ragione che impedisce la sua elezione, mentre con la seconda condizione scatterebbe la proibizione a prescindere di potersi ricandidare a chiunque abbia appena svolto due mandati consecutivi. La norma fu comunque approvata in questo modo dalla Camera e poi di nuovo dal Senato. I governatori più critici furono Roberto Formigoni (presidente della Regione Lombardia, centrodestra) e Vasco Errani (Emilia Romagna, centrosinistra) che poterono restare in carica per più di due legislature - rispettivamente nel 2005 e nel 2010 - in quanto la nuova legge veniva considerata priva di effetti retroattivi.

Trascorrono due decenni di tempo, ma il tema di polemica resta ancora sul tavolo. Non solo per i presidenti di regione, ma anche per i sindaci, come ha fatto recentemente Beppe Sala, il quale non potrà ricandidarsi a primo cittadino di Milano nella primavera del 2027. Adesso che si avvicinano le elezioni regionali previste nei prossimi mesi in sei diversi enti territoriali (Veneto, Toscana, Campania, Marche, Puglia e - a statuto speciale - la Valle d'Aosta) la questione si è riproposta tale e quale. Stando alla legge attualmente in vigore, non potranno ricandidarsi né Vincenzo De Luca nella regione campana (in carica dal 2015) né Luca Zaia in quella veneta (al potere dal 2010 e, nella forma, con due mandati consecutivi svolti dopo l'introduzione della nuove legge elettorale del Veneto nel 2012). Il primo ha fatto votare in Consiglio, nel novembre 2024, una legge che avrebbe scavalcato la validità della norma nazionale e che avrebbe consentito a De Luca di ricandidarsi e di farsi eleggere per una terza e ultima volta possibile.

Il governo Meloni ha impugnato la norma e si è visto dare ragione dalla Corte costituzionale, con le motivazioni delle sentenza numero 64 pubblicate il 15 maggio 2025: nel caso del divieto del terzo mandato consecutivo è stato lo stesso legislatore statale ad avere "ancorato l'applicazione del principio alla legislazione regionale che in qualche modo si colleghi all'elezione diretta del presidente della Giunta regionale". Ne consegue, quindi, che le leggi delle regioni ordinarie intervenute in materia elettorale dopo l'entrata in vigore della legge numero 165 del 2004 "non possono, a pena di illegittimità costituzionale, violare il principio in esame, che è ormai parte integrante dei rispettivi ordinamenti", scrivono nero su bianco i giudici della Consulta. Una decisione che ora potrebbe andare a stoppare le scelte interne alla Provincia autonoma di Trento, dove la giunta presieduta dal leghista Maurizio Fugatti ha sancito che nel 2028 (eventualmente) potrà ricandidarsi per la terza volta di seguito al proprio ruolo istituzionale che sta ricoprendo.

Proprio in questo senso il Consiglio dei ministri del 19 maggio ha deliberato di impugnare presso la Corte anche la scelta normativa imposta in Trentino. "Lo riteniamo un atto istituzionale molto pesante contro il Trentino e con una chiara valenza politica", ha dichiarato a caldo Fugatti commentando la decisione del governo Meloni -. Le autonomie speciali, come la corte Corte costituzionale ha detto tra le righe nella sentenza della Campania, hanno potere legislativo su questa materia. Lo riteniamo un atto contro l'autonomia del Trentino e nei prossimi giorno valuteremo cosa fare". Per Massimiliano Fedriga, in prospettiva dal canto suo di un tris nel 2028, le Regioni a statuto speciale hanno competenze esclusive in materia elettorale: "Io parto quindi da questo presupposto dove l'autogoverno delle regioni speciali e anche l'organizzazione dell'autogoverno è deciso dalla Regione, dal Consiglio regionale o dal Consiglio provinciale".

Nella discussione sul mandato dei presidenti di regione si citano spesso due sentenze della Corte: la numero 60 del 2023 e la 196 del 2024. Queste hanno ribadito la costituzionalità del limite dei due mandati consecutivi per i sindaci e bocciavano le iniziative delle regioni Sardegna e Liguria per superare o rimettere in discussione questo principio. Ma si trattava, appunto, del mandato dei sindaci.

Tuttavia, un'ulteriore decisione della Corte costituzionale contro i governatori anche di una regione a statuto speciale piomberebbe a cascata in altre realtà: come in Piemonte, dove il Consiglio regionale, nel luglio del 2023, aveva approvato una nuova legge elettorale che stabilisce che l'incandidabilità di chi ha già ricoperto per due volte consecutive il mandato di presidente si applica "a decorrere dalla XII legislatura", cosicché l'attuale presidente Alberto Cirio, già al secondo mandato, potrebbe ricandidarsi nel 2029.

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