«Parto dalla domanda frivola. La partita va giocata, e consiglio di tifare Brasile: per Kakà e Pato...».
Ora parla da inguaribile milanista.
«Sì. Anche perché la partita di calcio con il caso Battisti non centra assolutamente nulla».
Parliamo di Battisti, allora.
«Mai conosciuto, mai letto i suoi gialli. Però dico che il rifiuto del Brasile dovrebbe farci riflettere».
In che senso?
«Nel senso che se molti Paesi, e non parlo solo del Brasile, ma di Francia, Gran Bretagna, Canada e Giappone, esprimono forti dubbi sul nostro sistema di garanzie, forse significa che la nostra giustizia non è così a prova di bomba...».
Se è per questo, si sta tentando di riformarla.
«Ecco, appunto. Bisogna essere garantisti a 360 gradi: allo stesso modo per chiunque. Il garantismo è un abito mentale di civiltà. Altrimenti torniamo a una concezione di giustizia che mi fa orrore, quella che la somministra con le lacrime agli occhi e sullonda delle emozioni».
Il cosiddetto giustizialismo populista alla Di Pietro?
«Sì, da noi Di Pietro è forse la manifestazione più evidente di una concezione emotiva della giustizia».
Eppure... Salverebbe Battisti dalle patrie galere nonostante quattro omicidi...
«Due dei quali compiuti nello stesso giorno a Venezia e a Milano. Consentirà ai giudici brasiliani di avere qualche dubbio... Il fumus persecutionis esiste».
Allora riaprirebbe il caso giudiziario? E come?
«No, meglio metterci una pietra sopra. Unamnistia servirebbe a chiudere definitivamente quegli anni specialissimi della storia dItalia. E lo dico senza aver mai avuto indulgenza per la lotta armata».
Lo Stato che dovrebbe dire ai parenti delle vittime?
«Non credo che la permanenza in carcere di qualcuno allevi certi dolori.
RoS
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