"Così mi hanno fracassato". I segreti delle baby gang

Violenza nei quartieri, gang di ragazzini: Milano ha paura. E la polizia denuncia: "Manca il personale"

"Così mi hanno fracassato". I segreti delle baby gang

Milano, quattro di mattina di sabato. Michele, lo chiameremo così per proteggere la sua identità, sta rientrando a casa in una via della periferia Sud-Est di Milano. È in monopattino, dopo una serata passata allegramente con gli amici. Poco distante dal portone del suo appartamento incrocia un gruppetto di dieci ragazzini, in teoria innocui, nella pratica una delle piaghe di questa città. Oggi Michele ha il naso fracassato, la faccia piena di ematomi, escoriazioni a destra e a manca. Il riassunto che fa è un po’ crudo, ma perfettamente realistico: “Tutta colpa di queste baby gang del cazzo”.

Le zone a rischio

Le baby gang, appunto, uno dei veri allarmi di una Milano sempre più cosmopolita e problematica. Si muovono tra centro e periferia, colpiscono gli autobus e i mezzi pubblici. Non lo fanno per arricchirsi (il bottino spesso è misero), ma per “il semplice gusto della violenza”, a volte per “noia”, spesso per sentirsi parte di un “branco”. Tanto basta. Le zone critiche sono tantissime. Corso Como, Porta Venezia, Gae Aulenti, Citylife, piazza Mercanti, parco Solari. Ma anche la Darsena, l’Arco della Pace, piazzale Senilunte e Quarto Oggiaro. Ovunque e da nessuna parte, proprio come difficile da afferrare appare l’intero fenomeno.

Le 13 baby gang

Nei giorni scorsi è emerso un rapporto segreto, realizzato dagli investigatori dei carabinieri, che mappa le zone di influenza di 13 baby gang operative a Milano. La Z2 è l'incubo della metro verde, la Z4 si muove in zona Calvairate e Città Studi, la Z4 Gang a Corvetto, la K.O.Gang verso il quartiere Adriano. Ogni isolato, la sua piaga. San Siro e Baggio devono convivere con i Z7 Zoo, via Ripamonti con l’omonima gang M5, l’hinterland con i GangDuomo o i Barrio Banlieue, che poi si riversano nel fine settimana in centro città. “Comandano nel loro quartiere e cercano di esportare il loro potere in alcune zone del centro città”, racconta un poliziotto. Inutile nasconderlo: “Nel 70-80% dei casi i loro componenti sono ragazzi stranieri o italiani di seconda generazione provenienti dal Maghreb. Tantissimi minorenni, tutti o quasi con la musica trap a rap nelle orecchie”. Marocchini, algerini, egiziani. I dati parlano chiaro: in Lombardia, tra indagati e arrestati, uno su due è straniero.

Chi lavora sul campo conosce il problema, anche se l’analisi sul fenomeno non mette tutti d’accordo. Perché se da una parte ci sono le 13 baby gang con tanto di nomi e appartenenza, dall’altra una parte dei fattacci riguarda gruppuscoli di minorenni che si mettono insieme per compiere attacchi isolati. “Le loro azioni somigliano alle stese di camorra, solo senza pistole”, dicono i carabinieri. “Non vanno confusi con le gang latino-americane”, ribadiscono i poliziotti. Quello che è certo è che “rubano cellulari, vestiti, scarpe: quando notano un ragazzo, magari da solo, che indossa qualcosa che piace loro, lo rapinano”. La tecnica è quella ormai nota della nuvola: accerchiano le vittime, creano confusione, fanno ciò che vogliono. Rubano. O stuprano. “La loro violenza è enorme - assicura un carabiniere - una cattiveria che non ti aspetteresti da chi ha appena 14 o 15 anni”.

Ogni benedetto fine settimana la solita storia. Alcuni agenti l’hanno ribattezzata: “Prepotenza autorizzata”, nel senso che da una parte i genitori lasciano crescere criminali sotto i propri occhi (il disagio è sociale, ma anche familiare), dall’altra le forze dell’ordine risultano impotenti. Le gang se ne infischiano delle divise. “Quando intervieni, essendo minorenni, in pratica non li puoi toccare”. Se vengono arrestati, spesso si ritrovano solo con obblighi di firma o servizi sociali. Difficilmente il carcere. Sono insomma consapevoli di essere “intoccabili”. E agiscono di conseguenza.

“Mi hanno spaccato il naso”

Non è un caso se, stando ai numeri diffusi dalla procura dei Minori, Milano veste la maglia nera delle baby gang. Nel 2021 si registrano 1.442 indagati o denunciati per rapine, scippi e aggressioni. Numeri in leggero aumento (3%) rispetto al 2019, ma che non raccontano gli episodi invisibili: “Le vittime e i testimoni - racconta un carabiniere - hanno ormai paura ad esporsi”. Per il prefetto Renato Saccone, per ogni denuncia si stimano tre reati sommersi. L’alcol (e a volte le droghe) sono uno dei collanti di queste bande, ma anche un ricorrente status delle vittime. Michele, quella sera, aveva bevuto un po’. Eppure si ricorda chiaramente cosa è successo. “Stavo tornando a casa in monopattino intorno alle 4 del mattino quando incontro un gruppetto di ragazzini”, spiega al Giornale.it. Sono una decina. “Uno di loro mi corre accanto e mi butta giù a terra. Poi in un secondo mi accerchiano e mi chiedono i soldi. Però non avevo con me il portafogli e loro, senza nemmeno controllare, iniziano a riempirmi di botte. Mi hanno spaccato il labbro, ho contusioni ovunque e il naso rotto in più punti”. Il bello, o il brutto, è che Michele si sente anche fortunato. “Considerato che spesso finiscono con accoltellare le vittime con i taglierini, o spaccano loro i denti, mi è andata abbastanza bene”. Il volto tumefatto non racconta la stessa storia. Ma sono punti di vista.

La violenza gratuita

La “moda” delle baby gang nasce nei quartieri periferici, San Siro e Quarto Oggiaro in primis, ma poi si diffonde. Come un virus. “Una volta - racconta uno ‘sbirro’ - ho fermato quattro minori che tentavano di fare un furto in un supermercato. Figli di famiglie perbene, agiate. Ad uno di loro ho trovato un coltello addosso”. A cosa serviva? “I ragazzi erano stati rapinati la settimana prima da una gang di Quarto Oggiaro, erano stati picchiati. Così lui, per orgoglio o per paura, si era armato di una ‘lama’ di 5 centimetri. Voleva difendersi, diceva. Ma il rischio era che accoltellasse qualcuno, magari in una rissa, facendoci scappare il morto. E la galera a vita”. A contare è anche l’attrazione per certi ambienti. “Un ragazzo figlio di un professionista una volta si avvicinò alle gang di piazzale Selinunte. Lo fecero andare quattro o cinque volte. Poi quando hanno capito che aveva grandi disponibilità economiche lo hanno rapinato, spogliato di tutto e mandato affanculo”.

La polizia con le mani legate

Come bloccare la valanga? Difficile dirlo. I fatti di Capodanno in piazza Duomo, con 11 episodi di violenza, una ventina di indagati e almeno quattro arresti, dimostrano che le indagini possono assicurare giustizia, ma il difficile sta nell’arginare gli atti criminali. Prevenire sarebbe meglio che curare. Ma è più complicato. La deterrenza la assicuri in due modi: primo, più pattugliamento delle strade; secondo, capacità di indagare. "Milano oramai è zona franca", dicono dal Nuovo Sindacato Carabinieri. “C’è carenza di personale - spiega Pasquale Griesi, dell’Fsp Polizia - arriveranno 150 agenti, ma altrettanti se ne andranno in pensione o saranno trasferiti. Inoltre, il Comune dovrebbe investire in telecamere con migliori qualità delle immagini”. Altrimenti si rischia di non avere materiale su cui lavorare.

Altro problema: le identificazioni. Dopo i fatti di Capodanno - come può rivelare ilGiornale.it - le forze dell’ordine hanno avviato un'indagine diciamo “particolare”. Agenti in borghese selezionavano dei sospetti in strada, li prendevano da parte, chiedevano documenti e scattavano fotografie. Una sorta di “foto-segnalamento”, ma fatto sull’istante e senza portare i sospetti in questura. Un modo per raccogliere informazioni su cui basare le successive indagini. È lecito? “Ni”, risponde un esperto. Sì e no. “È anche un modo per ‘stare addosso’ a queste persone - aggiunge un altro poliziotto - devi mettere loro pressione per evitare che si sentano impuniti”. Non guasterebbe neppure un po’ più di “repressione”. Per capirlo occorre ricorrere alla memoria storica di chi sta in strada da più di 30 anni.

“Negli anni ’90 a vedere le auto delle forze dell’ordine i criminali almeno avevano paura - racconta un militare - Adesso invece manca il rispetto per l’autorità. Vale per gli insegnanti, per i genitori, ma anche e soprattutto per poliziotti e carabinieri”. Si è passati dal timore all’affronto. E così le gang dilagano.

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