Droni e armi cinesi diretti in Libia: cosa c'è dietro ai sequestri di Gioia Tauro

Tra metà giugno e l'inizio di luglio, la Guardia di Finanza ha sequestrato tre carichi di armi provenienti dalla Cina e diretti in Cirenaica, il dominio del generale Khalifa Haftar. Lo scontro tra Usa e Russia arriva quindi sulle nostre coste

Droni e armi cinesi diretti in Libia: cosa c'è dietro ai sequestri di Gioia Tauro
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Mosca, Pechino e Bengasi. Il lungo filo rosso che lega la capitale di Vladimir Putin al centro del potere del generale Khalifa Haftar, l’uomo forte della Cirenaica, non passa solo dal porto siriano di Tartus, ma anche dalla megalopoli cinese di Shenzhen, circumnaviga l’Africa e arriva fino in Italia.

Martedì 2 luglio, i finanzieri del comando provinciale di Reggio Calabria hanno sequestrato componenti per l’assemblaggio di due droni da guerra contenuti in sei container provenienti dalla Cina e stipati nello scalo di Gioia Tauro. Secondo quanto riferito dalle Fiamme Gialle, quel carico avrebbe dovuto contenere pezzi per generatori eolici di turbine elettriche. Una volta montati, i due velivoli senza pilota avrebbero una stazza di tre tonnellate e un’apertura alare di circa 20 metri. L’operazione non è stata la prima del suo genere.

Il 28 giugno, sempre a Goia Tauro, la Guardia di Finanza è intervenuta sulla Msc Apolline, una portacontainer lunga 400 metri appena arrivata nel porto calabrese, a seguito di una segnalazione delle autorità statunitensi. A bordo, sono state trovati dispositivi militari che avrebbero dovuto essere portati in Cirenaica. Dieci giorni prima, le forze dell’ordine hanno effettuato un altro sequestro a bordo della Msc Arina, sempre dietro indicazioni dell’intelligence di Washington. Secondo alcuni analisti, sul mercantile erano stati nascosti dei droni armati sempre destinati ad Haftar. Entrambe le portacontainer erano partite da Yantian, il porto della megalopoli cinese di Shenzhen, avevano circumnavigato l’Africa per evitare gli attacchi degli Houthi nel Mar Rosso e fatto scalo a Valencia e Barcellona. Solo al loro arrivo nel nostro Paese, però, gli americani hanno avvisato della necessità di sequestrare quei carichi. Secondo il Corriere della Sera, questa dinamica nasconde un avviso per il presidente del Consiglio Giorgia Meloni.

A maggio, il premier ha effettuato un viaggio in Libia e fatto tappa anche a Bengasi. Secondo quanto riferito al tempo dall’Ansa, il capo del governo di Roma ha espresso al generale Haftar la necessità di porre fine alla “presenza di forze straniere sul suolo libico”. Un riferimento, questo, alla sempre maggior penetrazione russa in Cirenaica. Negli ultimi mesi, infatti, il Cremlino ha fatto sbarcare circa 1.800 militari e grossi quantitativi di armi nella regione. Secondo diversi analisti, Vladimir Putin ha intenzione di creare un vero e proprio porto militare a Tobruk, da usare come ponte per velocizzare la penetrazione di Mosca nel resto dell’Africa.

In questa situazione, Roma si trova in una posizione difficile. Haftar, infatti, è in grado di influire sulle rotte dei migranti e sull’accesso dei pescherecci italiani al Mediterraneo centrale. Il premier Meloni ha dunque mantenuto un approccio realista nei rapporti con l’uomo forte di Bengasi, per mantenere una distensione.

Una strategia che, però, potrebbe non essere più ben vista dagli Stati Uniti, che avrebbero forzato la mano delle autorità italiane costringendole ad intervenire e a sequestrare i carichi di armi diretti in Libia, nel tentativo di rallentare l'espansione della presenza di Mosca a pochi chilometri dal fronte meridionale della Nato.

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