La Gladio parallela e la beffa agli 007: l'altra versione sul documento segreto

In un documento del Sismi si auspica la creazione di una struttura segreta per evitare incidenti diplomatici. Tra i vari casi indicati, ne emerge uno che vede protagonista Francesco Pazienza

La Gladio parallela e la beffa agli 007: l'altra versione sul documento segreto

Da quando il 31 marzo scorso è stato pubblicato da TPI un documento inedito proveniente dagli archivi di Gladio e recentemente desecretato assieme ad altri 190 mila documenti, ilgiornale.it sta cercando di fare chiarezza sulla sua natura.

L’appunto, datato 13 luglio 1990, scritto da un fantomatico direttore di Divisione del Sismi, propone al capo dell’allora servizio segreto militare, l’ammiraglio Fulvio Martini, la creazione, in seno alla VII Divisione, di una struttura segreta composta da “agenti a perdere”, uomini super addestrati da utilizzare in missioni “sporche”, non ufficialmente riconducibili al servizio.

Il fatto che questo documento sia uscito fuori in un periodo fortemente simbolico, a 30 anni dalle stragi del 1993, pone alcuni interrogativi sulla sua natura. La sua stessa esistenza lascia un po’ perplessi. Possibile che un servizio segreto lasci protocollato e archiviato un documento tanto compromettente? Secondo un esperto come Aldo Giannuli no, e questo pone – secondo lui – un interrogativo inquietante: chi ha avuto l’idea di fabbricarlo? E per quale motivo?

Eppure non ci siamo limitati a interpellare il professor Giannuli. Ci sono altre persone che, al contrario, ritengono il documento autentico e degno di attenzione. Tra questi, un personaggio che troviamo citato nel documento stesso: Francesco Pazienza.

Nel motivare la necessità di formare questa “nuova struttura”, il direttore di Divisione elenca all’ammiraglio Martini una serie di casi in cui l’impiego di agenti ufficiali in missioni rischiose ha creato imbarazzanti incidenti diplomatici. Il primo esempio scomoda i colleghi francesi, che il 10 luglio 1985 piazzarono una bomba e affondarono la nave di Greenpeace “Rainbow Warrior”. In qull’occasione ci scappò anche il morto: il fotografo e attivista portoghese Fernando Pereira. L’azione costò il posto all’allora capo dei servizi d’Oltralpe.

Per il secondo esempio viene invece citato un caso che coinvolse degli agenti italiani in Svizzera. Testualmente il testo del documento dice: “Tipici esempi dei danni derivati dalla mancanza di siffatta struttura possono essere considerati [...] la “bruciatura” e l’arresto, da parte della Polizia Elvetica, di due nostri agenti impegnati in una ripresa fotografica al noto PAZIENZA [maiuscolo nell’originale, ndr]”.

Francesco Pazienza è probabilmente il più celebre agente segreto italiano. Per lui venne coniato il termine (con accezione spregiativa) di “faccendiere”. Consulente personale del generale Giuseppe Santovito, direttore del Sismi dal 1978 al 1981, nella sua breve ma intensa carriera nel mondo dei servizi riuscì ad “arruolare” persino un pezzo da novanta come Federico Umberto D’Amato, oggi accusato dalla procura generale di Bologna di essere stata una delle menti dietro la strage del 2 agosto 1980.

Per la stessa strage anche Pazienza è stato condannato per depistaggio e nel 1985 – l’anno cui la vicenda citata nell’appunto del Sismi si riferisce – era braccato senza molto successo dallo stesso servizio segreto in cui aveva militato da “libero professionista” per essere portato in Italia e processato: “Ho lavorato per quei buffoni solo un anno, nel 1980. Ero un mercenario vecchio stile. Una sorta di Giovanni dalle Bande nere” ci dice.

A Pazienza abbiamo chiesto la sua opinione riguardo l’autenticità del documento di cui stiamo parlando: “Non mi stupirei se fosse vero. Anzi, credo proprio che lo sia. I nostri servizi, all’epoca, erano servizi da operetta. Vigeva la regola del nepotismo ed era pieno d’incompetenti. Quindi si, quel documento potrebbe essere autentico”.

Venendo all’aneddoto richiamato nell’appunto del Sismi, chiediamo all’ex agente segreto di raccontarci la vicenda: “Era il 1985. Ormai da quasi quattro anni vivevo a New York ed ero tornato ad occuparmi di affari. Attività che mi portava costantemente in giro per il mondo. Dall’Italia me ne ero andato quando avevo capito che me l’avrebbero fatta pagare. Mi ero creato nemici tanto nel Sismi, quanto nella magistratura e nella politica”. Pazienza si riferisce ai suoi dissapori con il direttore del Sismi Fulvio Martini, con l’ex amico e magistrato Domenico Sica e con Bettino Craxi.

Già poco tempo prima, nell’ottobre 1984, mentre mi trovavo alle Seychelles, il Sismi tentò di catturarmi. Arrivarono con un Falcon 50 di proprietà della Snam. Dall’aeroporto mi avvertirono della circostanza e del fatto che gli uomini all’interno di quel particolarissimo aereo fossero armati. In quell’occasione feci spegnere l’aeroporto”.

La vicenda viene raccontata con dovizia di particolari nel primo libro – introvabile – di Francesco Pazienza, Il disubbidiente. Effettivamente, quella volta il Falcon dovette virare verso il Sudan, in quanto l’aeroporto segnalò all’equipaggio un improvviso malfunzionamento nei sistemi radar. Quando poi pochi giorni dopo (previa la rinuncia alle armi) venne concesso l’atterraggio, i due agenti incaricati di catturare Pazienza vagarono a vuoto: “Sono stato io a organizzare la loro permanenza su quelle isole. Ovunque andassero avevo occhi e orecchie per tenerli sotto controllo. Quando ripartirono, ero in aeroporto con barba finta e occhiali a godermi la scena e a fotografarli”.

L’anno dopo, nel dicembre dell’85, il Sismi ci riprova. Giunge la segnalazione che un certo giorno, a una certa ora, Francesco Pazienza atterrerà da un aereo privato presso l’aeroporto di Lugano. Scattano i preparativi, ma è una trappola. A ordirla, lo stesso Pazienza: “Avevo fatto amicizia con due diplomatici russi, probabilmente agenti del Kgb. Attraverso loro, feci filtrare la notizia prima all’Interpol e poi al Sismi che sarei stato a Lugano. Nel contempo, i russi fecero sapere alla polizia elvetica che ci sarebbero stati due o tre delinquenti con macchine fotografiche all’aeroporto di Lugano”.

Lo scherzetto funziona. I due agenti segreti italiani vengono fermati poco dopo aver messo piede nell’aeroporto. E l’incidente diplomatico è dietro l’angolo: “I due 007 vennero intercettati e bloccati. A quel punto, uno dei due, un colonnello della Finanza, disse agli agenti che c’era un equivoco e che erano due uomini dei servizi segreti italiani. Apriti cielo. Agli svizzeri non piace che un servizio segreto operi senza il loro permesso su suolo elvetico”.

I due agenti vengono arrestati e passano in carcere quasi un mese, subiscono un processo e si vedono comminare l’interdizione a rientrare in Svizzera per dieci

anni. “Una figura di merda mondiale” chiosa Francesco Pazienza, che conclude: “Tornando al documento, all’epoca dell’Ammiraglio Martini è molto probabile che venissero redatti documenti del genere”.

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