Ecco l'ultima verità: il report Oms sparito? Serviva a elogiare l'Italia

Nelle mail tra Oms, Ranieri Guerra e il ricercatore autore del rapporto emerge il perché quel documento fu fatto sparire su pressione di Pechino. Non perché imbarazzava l'Italia, ma perché inchiodava la Cina sui contagi da uomo a uomo

Ecco l'ultima verità: il report Oms sparito? Serviva a elogiare l'Italia

La narrazione della pandemia a cui siamo stati abituati sta prendendo una forma diversa, demolita da nuovi documenti e soprattutto dalle audizioni in commissione Covid, dove una parte del mondo scientifico finalmente ha il coraggio di dire che molte cose non hanno funzionato, mentre qualcun altro come l’epidemiologo schieratosi con il Pd Pier Luigi Lopalco ha rivelato che dietro il silenzio di alcuni suoi colleghi si nasconde la paura dei tribunali, delle querele, dei fascicoli che possono tornare a galla come ordigni inesplosi. Tra le nuove carte che riscrivono la storia del Covid c’è senza dubbio la sentenza del tribunale del Lavoro di Ginevra a cui si è rivolto l’ormai ex ricercatore Oms Francesco Zambon, autore del famoso rapporto Oms sulla «gestione caotica e creativa» dell’Italia ritirato frettolosamente e risarcito con 25mila euro. Questa sentenza di cui ha già parlato Il Giornale (link) smonta la fiction di Report e rivela come quel rapporto Oms sia nato non come un atto di accusa al governo di Giuseppe Conte ma come un assist al lavoro dell’allora ministro della Salute Roberto Speranza e alla stessa Cina, tanto che il rapporto sarebbe stato messo offline ufficialmente perché c’era un box sulla cronologia del virus in Cina in cui sostanzialmente Zambon faceva risalire il primo contagio uomo a uomo a prima di quando ufficialmente lo ammettesse la Cina. Ovviamente aveva ragione Zambon ma non si poteva dire. E infatti nessuno l’ha più detto.

L’altro giorno in commissione ha parlato l’inviato di Report Giulio Valesini (link) autore di un bel libro sulla pandemia. A differenza di altri auditi, che hanno alternato reticenze, silenzi e cautele, incalzati dalle domande dei preparatissimi commissari, Valesini ha riferito ciò che ha scoperto proprio sul rapporto Oms di Zambon. Un documento nato male, cresciuto peggio e morto tra i veleni della diplomazia sanitaria. Un rapporto che, per chi ha seguito la storia, da un pezzo di carta si è trasformato in specie di linea del fronte. La decisione del tribunale del Lavoro di Ginevra che ha condannato l’Oms a risarcire parzialmente Zambon rischia di incidere anche sul processo di appello per diffamazione fissato per il 2027, promosso dall’ex Dg della Prevenzione Ranieri Guerra (link) contro Report, La7 e lo stesso Zambon. Cinquecentomila euro chiesti ai primi, un milione all’altro.

Quando la senatrice di Italia Viva Annamaria Furlan gli chiede conto del ritiro del rapporto di Zambon, Valesini risponde con apparente sicurezza: «Il rapporto aveva ricevuto tutte le autorizzazioni a livello scientifico dell’Oms, c’era ogni tipo di approvazione». Vero, ma non del tutto. Perché, come scriverà poi il tribunale del Lavoro di Ginevra «il rapporto era stato pubblicato sul sito web dell’Oms senza revisione né approvazione da parte dell’Ufficio legale». Come ben spiega il giudice svizzero, «il rapporto sul Covid è stato esaminato dal comitato per la revisione delle pubblicazioni dell’Oms durante una riunione tenutasi l’11 maggio 2020. La pubblicazione è stata approvata con le seguenti condizioni: (1) «Si prega di consultarsi con il LEG (Ufficio legale, ndr) riguardo alla cronologia delle azioni intraprese dall’Oms riportata nel Riquadro 1 (il famoso box sulla Cina, ndr), prima di qualsiasi pubblicazione, data la controversia su questo punto». (2) «Si prega di rivedere lo stile per garantire coerenza nel tono del testo». (3) «Prossime fasi: il documento è stato approvato. Una volta affrontate le questioni sopra indicate, si prega di procedere con la revisione tecnica».

Eppure, nonostante il 12 maggio 2020 Zambon abbia ricevuto il verbale della riunione del comitato per la revisione delle pubblicazioni dell’Oms del giorno prima, con le indicazioni sul da farsi, lo stesso ricercatore non passa dall’Ufficio legale della sua organizzazione, condizione imprescindibile come da regolamento che gli era stata posta proprio per la pubblicazione del rapporto. Primo errore di procedura. «Il Tribunale ritiene che le prove presenti nel fascicolo dimostrino quanto segue: (a) con un’e-mail del 12 maggio 2020, il ricorrente ha richiesto la pubblicazione del rapporto Covid dichiarando che tutti i requisiti di autorizzazione erano stati soddisfatti; (b) sulla base di tale richiesta, il rapporto Covid è stato pubblicato, nonostante non avesse ottenuto la necessaria autorizzazione preventiva da parte di LEG”.

È l’inizio di una catena di eventi che pochi mesi dopo diventeranno polvere da sparo mediatica. Valesini, durante l’audizione, lascia cadere un dettaglio che suona come un colpo di mortaio: «Il rapporto viene messo offline ufficialmente perché c’era una criticità nel box sulla cronologia del virus in Cina», come abbiamo visto. Lo ha scritto mesi fa proprio Il Giornale, più volte. Una criticità che certamente non si sarebbe presentata se Zambon avesse seguito le rigorose procedure interne dell’organizzazione presso cui prestava servizio.
Valesini però in commissione non dice chi lo abbia rimosso, ovvero lo stesso Zambon. E non su richiesta di Ranieri Guerra, come già sappiamo, ma proprio dell’ufficio Oms di Pechino: «Si prega gentilmente di rimuovere immediatamente il documento dal web. Considerate questa un’emergenza. Questo documento contiene inesattezze e contraddice in alcuni punti la cronologia della sede centrale. Il riquadro relativo alla Cina deve essere urgentemente verificato dalla sede centrale». Lo dice la sentenza dell’Oms citando una mail interna. Ed è una richiesta alla quale Zambon acconsente immediatamente.

Il giornalista di Report si lascia anche scappare qualcosa che forse è sfuggito anche a tutti i commissari in aula ma che su Zambon pesa come una sentenza. L’inesattezza che veniva contestata riguarda la data del primo contagio uomo a uomo, che Zambon anticipa rispetto a quando ufficialmente lo avesse ammesso la Cina. Ovviamente ha ragione Zambon, «ma non si poteva dire perché ufficialmente la Cina non aveva ammesso che la trasmissione uomo a uomo era avvenuta prima di quando l’avesse dichiarato ufficialmente», dice Valesini. Che aggiunge: «È vero che viene ritirato ufficialmente per il box della Cina, ma il report dopo due ore era corretto». E ancora: «Tra l’altro, i ricercatori di Venezia ascoltano anche le correzioni proposte da Guerra e da Cristiana Salvi (Oms Europa, ndr) sul correggere il testo per renderlo politicamente meno scivoloso e su cui io personalmente non sono d’accordo perché era un rapporto indipendente scritto dall’Oms, che è un organismo indipendente e deve essere essere scientificamente valido. Mi interessa fino ad un certo punto che poi la suscettibilità del ministro venga toccata», conclude l’inviato di Report.

Ma bisogna stare ai fatti. Come fa un giornalista a sostenere che il rapporto di Zambon era «indipendente» quando lui stesso dichiara che Zambon si sarebbe prestato a scrivere il falso nella timeline degli eventi della pandemia mondiale più devastante dopo la Spagnola in un rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sulla premessa che «non si poteva dire» quello che «la Cina non aveva ammesso», ovvero che «la trasmissione uomo a uomo era avvenuta prima di quando l’avesse dichiarato ufficialmente»?

Ora, che l’Oms non sia avvezza in maniera consolidata a rapporti indipendenti è lo stesso Ranieri Guerra ad ammetterlo in una e-mail datata 13 maggio 2020 ed indirizzata allo stesso Zambon, in possesso del Giornale: «Caro Francesco, grazie per i tuoi commenti. Al momento non posso accedere al documento, ma, molto sinceramente, avrei preferito discutere prima una bozza avanzata e poi cercare l’approvazione del ministro, come facciamo di solito in queste circostanze specifiche e ancora fragili». Dunque, ogni rapporto Oms va «concordato». Una circostanza suffragata anche dalle dichiarazioni rilasciate proprio in commissione Covid dal successore di Guerra come dg della Prevenzione, Giovanni Rezza (link): «Inusuale forse è il fatto [...]che l’Oms, da una parte, inviasse in Italia una persona a rappresentarla e, dall’altra, producesse un volume [...]in cui si parlava di ciò che il Paese aveva fatto o non fatto, che tuttavia lo Stato membro non aveva condiviso. In genere, infatti, c’è una condivisione da parte degli Stati membri di tutto ciò che viene prodotto dall’Oms che li riguarda. Lo dico perché nel lontano 1989 lavorai per quasi un anno a Ginevra per cui, ripeto, a mio avviso, è stato un po’ inusuale».

Tra l’altro a Report sfugge probabilmente un fatto ben circostanziato e riportato ancora una volta nella sentenza numero 5.000 del tribunale di Ginevra dello scorso febbraio, disponibile online. Il 5 maggio 2020, Zambon presentò la richiesta di pubblicazione del rapporto sul Covid e l’Ufficio regionale europeo per le emergenze sanitarie dell’Oms osservò che «vi sono diverse frasi politicamente sensibili in questo rapporto» e che «le prime 10-15 pagine richiedono un’attenzione significativa e contengono inesattezze ed errori tecnici». Il 6 maggio 2020, Zambon rispose che avrebbe «affrontato per quanto possibile» la vicenda e assicurò di essere «pienamente consapevole» della «sensibilità politica» e che «si sarebbe assicurato che il testo finale non contenesse nulla che potesse risultare sensibile».

Vi ricorda qualcosa? È esattamente uno dei motivi per cui Guerra fu mediaticamente massacrato. Ed è contenuto in una e-mail che lo stesso ex numero due dell’Oms mandava a Zambon il 13 maggio 2020: «Uno degli atout di Speranza è stato sempre il poter riferirsi a Oms come consapevole foglia di fico per certe decisioni impopolari e criticate. Se anche Oms si mette in veste critica non concordata con la sensibilità politica del ministro non credo che facciamo un buon servizio al Paese». Avete capito bene. Per lo stesso motivo per cui Ranieri Guerra veniva condannato, Francesco Zambon veniva santificato.

A tal proposito è doveroso richiamare la risposta che lo stesso Zambon indirizzò a Guerra rispetto alle perplessità sulla mancata condivisione del rapporto con Speranza: «L’ltalia ne esce bene, quindi non vedo come il ministro potrebbe risentirsi di cose scritte. Semmai mi aspetterei il contrario». È inevitabile a questo punto richiamare la mail che Guerra aveva mandato a Zambon il 14 aprile 2020: «Ministro Speranza e ministra Pisano (Paola Pisano, allora titolare all’Innovazione tecnologica e alla transizione digitale, ndr) pronti a dare ok su supply per medici di base. Più tardi invio loro le specifiche tecniche che possono essere poi da guida per chi farà il procurement. Ti ho aperto un’autostrada sulla narrazione, ma bisognerebbe anche condividere con Speranza un indice più aggiornato di quello che volete fare, così che benedica anche questa parte».

E ancora, il 14 maggio 2020 è sempre Zambon a scrivere a Guerra: «Ho visto l’ignobile Report. Ma appunto molto del chiasso lo fanno i giornalisti, molti - come quelli - di bassa, bassissima lega. Il documento non critica affatto l'Italia, anzi valorizza i titanici sforzi fatti. Mette in luce la flessibilità di un grande Paese, la capacità di resistere, pur in uno scenario complesso di rapporto tra Centro e Regioni. E c’è del buono sia a livello centrale sia a livello regionale, dove negli regional profiles abbiamo scovato per cercare che ogni regione avesse qualcosa da showcase. L’Italia non ne esce affatto come un Paese sconfitto ma come un Paese che è riuscito ad affrontare e ad uscire da una “unprecedented challenge” (sfida senza precedenti, ndr).

Insomma, uno Stato che esce decisamente in piedi e a cui guardare come esempio. Mi riferisco all’Italia, non ad una regione in particolare. Perché il ministro non dovrebbe gradire questa disanima? Anzi,l’Oms - pur nel delicatissimo equilibrio in cui siamo - può fornirgli oltre che una foglia di fico anche una pubblicazione di cento pagine su cui farsi ulteriore forza. Che ne avvalla fondamentalmente l’operato». Abbiamo letto bene. Altro che rapporto critico sulla gestione del Covid, quel report fatto sparire voleva essere un elogio a Speranza.
Ma per Valesini non è tutto. Perché ora che nessuno - nemmeno Report - può piú dire che fu Ranieri Guerra a fare togliere il rapporto a Zambon («Il signor G. non ha impedito la pubblicazione del rapporto sul Covid, pubblicazione che in effetti è avvenuta, nonostante il suo disaccordo riguardo al contenuto del rapporto», scrive nella sentenza il tribunale del Lavoro di Ginevra), bisognerà pure incolpare Guerra di qualcosa. E allora la questione non diventa più chi l’ha fatto sparire, ma perché non è stato più ripubblicato.

E qui il mistero si fa più chiaro. «Il punto qual è? - si chiede Valesini - È che Zambon non corregge la data del Piano pandemico (link). Quando Guerra dice “non possiamo essere suicidi su questo, stasera andiamo sui denti di Report, correggi la data del Piano pandemico”. Cioè Guerra gli dice di scrivere il falso. E da quello che mi risulta, Zambon questa correzione non la fa», spiega ai commissari Covid l’inviato di Sigfrido Ranucci. Ed è anche su questo punto che la sentenza del tribunale di Ginevra cala l’asso e spariglia il castello di carte mediatico.

Secondo la ricostruzione del giudice svizzero, infatti, l’11 maggio 2020 Zambon informa Guerra che il rapporto sul Covid sarebbe stato pubblicato e stampato quel giorno; Guerra chiede a Zambon, tra le altre cose, «di correggere il riferimento al Piano pandemico italiano sulla base dei dati disponibili presso il ministero della Salute italiano, i quali indicavano che il piano era stato aggiornato nel dicembre 2016». E nello stesso giorno, Zambon chiede al suo team di apportare le modifiche «poiché a quanto pare c’è un errore. Il paragrafo 2.1 del testo è sbagliato. Il Piano pandemico è stato redatto e aggiornato». Zambon informa il team che il «lancio è rinviato fino a nuovo avviso», poiché «M. non può apportare le modifiche prima della serata di domani», ma «le copie già stampate possono comunque essere spedite così come sono». Questo è il passaggio in cui Zambon sembra cedere alle richieste di Guerra con la stessa facilità con cui aveva ceduto alle richieste di Pechino.

Ma resta l’ultima risposta all’ultima domanda posta da Valesini ai commissari della commissione Covid: per quale motivo il rapporto di Zambon non venne più ripubblicato? Anche in questo caso la sentenza di Ginevra è lapidaria: «Tra il 14 e il 28 maggio, Guerra propose al direttore regionale di Oms Europa di istituire un piccolo gruppo che includesse due persone del ministero della Salute italiano per esaminare il rapporto, verificare i dati e correggere eventuali errori, con l’obiettivo di ripubblicare il rapporto. Il 28 maggio, Zambon scrisse al direttore generale chiedendo un incontro per informarlo dei rischi legati alla ripubblicazione del rapporto con modifiche e per comunicargli di aver contattato il mediatore. Il 16 giugno 2020 è Zambon a informare il supervisore che né lui né il team avrebbero partecipato ad alcuna revisione del rapporto Covid e che, se fossero state apportate modifiche, i loro nomi avrebbero dovuto essere rimossi dal rapporto».

Fine della storia. Il grande scoop, il «rapporto indipendente», l’indagine coraggiosa che avrebbe dovuto smascherare i poteri forti, si è rivelata una costruzione di carta, fatta di omissioni, mezze frasi e verità a orologeria. Con tono grave, quasi solenne, Valesini ha legittimamente difeso il rapporto di Zambon che doveva essere «indipendente», ma nella stessa audizione ha ammesso che dentro quel rapporto si aggiustò ciò che «non si poteva dire», perché «ufficialmente la Cina non aveva ammesso», cioè la data del primo contagio tra uomo e uomo. È un capolavoro di coerenza: si rivendica l’indipendenza citando la censura.

Eccolo il paradosso dopo anni di servizi televisivi, narrazione mainstream, depistaggi sistematici, inchieste indignate e interviste tagliate a misura: Report si batte contro la disinformazione mentre diffonde, consapevolmente o no, una versione parziale della verità. Il moralismo d’inchiesta a senso unico che diventa autocensura. E la cosa più imbarazzante è che nessuno nella redazione di Ranucci vuole dire le cose come stanno.

Anzi, il racconto va avanti: serve un buono contro i cattivi, l’eroe solitario contro il sistema. Tutto secondo copione. Solo che, questa volta, il finale è stato riscritto da deposizioni e sentenze che in molti fanno finta di aver sentito e letto.

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica