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"Le metterei un sacchetto in testa...". Accuse di molestie nell'agenzia: ecco le chat choc

Dal foglio Excel con la classifica con i "lati B" delle colleghe ai commenti sulle "tette acerbe": bufera su una nota agenzia di comunicazione. Che replica: "Condanniamo qualsiasi forma di discriminazione"

"Le metterei un sacchetto in testa...". Accuse di molestie nell'agenzia: ecco le chat choc

Se ne parla da un paio di giorni su tutti i social. I commenti sono una valanga, le condivisioni centinaia. Scrive Monica F. sulla sua pagina Facebook. "Ho ritrovato la mia proposta di candidatura in questa agenzia nel lontano 2011, e col senno di poi, per fortuna non ha avuto seguito. Non mi stupisco se non leggerò alcuna notizia a riguardo sui giornali". Invece sui giornali questa storia ci finisce. Eccola.

La grande accusata è l'agenzia di comunicazione "We are Social", multinazionale con centinaia di dipendenti in tutto il mondo, tra cui Milano. Tutto nasce da un'intervista pubblicata lo scorso 9 giugno da Monica Rossi, famoso (è un uomo) nom del plume del mondo dell'editoria, al noto pubblicitario Massimo Guastini. Parla di molestie, fa accuse circostanziate, cita il caso di una chat dentro la famosa agenzia. A scatenare l'imbarazzo generale (e l'indignazione, generale) il riferimento a una chat interna - definita da più parti "chat della vergogna" o "chat degli 80" - risalente al 2017. Ci sono ottanta uomini che leggono e scrivono: tutti i dipendenti "dagli stagisti ai capi reparti. Manca solo il grande capo". Guastini parla di decine di messaggi umilianti e degradanti sulle colleghe ogni giorno, con tanto di voti. "È talmente cessa e grassa che le infilerei un sacchetto in testa (il resto non è riportabile, ndr)", tanto per citarne uno. Nell'intervista il pubblicitario cita anche l’esistenza di foglio Excel che non contiene "numeri e voti" ma un'altra classifica delle donne con il sedere più attraente.

Sempre a proposito della chat, così racconta Mario Leopoldo Scrima, un altro dipendente, in una intervista del 19 giugno sempre con Monica Rossi. "La chat era solo un altro ambiente, più sicuro, in cui parlare di becerate da bagno delle scuole superiori. Appena una ragazza veniva assunta, nella chat venivano girati i suoi profili Instagram con tanto di screenshot delle foto al mare o, che sfortuna!, col fidanzato. Quando lei si presentava con nome e cognome tutti noi sapevamo già la taglia di reggiseno". E ancora, spiega: "Durante le riunioni, le colleghe non sapevano che prima o addirittura durante noi intanto chattavamo in tempo reale commentando la loro voce odiosa, il loro c... grosso, le loro tettine acerbe o cose così. E quando i meeting finivano, non sanno che molto spesso i maschi rimanevano qualche minuto in più per 'approfondire' i discorsi iniziati in quella famosa chat".

Tra le trentatré risposte di Guastini, per due volte presidente dell'Art Directors Club italiani, ce n'è una particolarmenente "angosciante", "inquietante", "sconvolgente", a dire dell'intervistatore. "Di uno di questi molestatori seriali conosciamo bene il nome ed è P.D.". Chi è costui? Un altro famosissimo pubblicitario italiano. Le molestie si riferiscono, secondo l'intervista, agli anni tra il 2007 e il 2016. "Me lo hanno raccontato una dozzina di ragazze". Tra queste accusatrici, l'intervistato cita una stagista: "Era letteralmente scioccata. Si erano incontrati in un’occasione pubblica e avevano cominciato a parlare della professione comune: la scrittura per la pubblicità. Lei aveva 20 anni e lui 50. Si offrì di accompagnarla a casa. Invece parcheggiò in una zona isolata e tentò approcci sessuali inopportuni dal momento che lei continuava a respingerlo. Non ci fu stupro, ma decisamente quelle furono molestie sessuali".

Ed ecco poco sotto comparire il commento di Giulia, che su Facebook si presenta come la stagista in questione. "Non scrivo questo commento per metterlo alla gogna pubblica, ma per fare chiarezza su un fatto che a 20 anni non sono riuscita ad affrontare meglio di come è stato raccontato. Oggi mi esprimo soprattutto per onorare l’appoggio che ho ricevuto: sono stata la stagista di cui parla Massimo in questa intervista, 12 anni fa è effettivamente accaduto quanto ha scritto". Continua: "Se le accuse attuali sono reali (questo io non lo posso sapere), mi ritengo molto fortunata. Nel 2011 ero convinta che il mio fosse un caso isolato, la cazzata di un momento, invece siamo ancora qua a parlarne e in toni ancora più seri. Da quella faccenda ho attacchi di panico ogni volta che devo accettare un passaggio in auto, di norma guido sempre io. Non penso che D. (il pubblicitario, ndr) volesse causare questo, penso che per lui il problema non sia mai esistito semplicemente perché quello che potevo provare io non era neanche lontanamente da considerare".

Abbiamo provato a sentire l'agenzia We are social che ha replicato che da sempre l'agenzia "condanna qualsiasi forma di discriminazione e atteggiamenti inappropriati". Nella nota si specifica che si tratta di fatti ormai risalenti a sette anni fa, cioè al periodo 2016-2017. Infine l'agenzia precisa che "è da sempre impegnata nel creare un ambiente di lavoro sano e inclusivo. La società, nel corso degli anni, ha messo in atto numerose iniziative con partner qualificati affinché il benessere e la tutela delle persone siano al primo posto".

Intanto la copy Taniume, sulla sua pagina Instagram, sta raccogliendo decine di segnalazioni, in una sorta di #metoo delle agenzie pubblicitarie, sotto il post: "Pu...na arrogante. Chissà quanti pomp... hai fatto per essere qui". E scrive: "Estirpare questo virus porterà benefici a chiunque. Fatta eccezione per i molestatori che invece vogliono proteggere questo habitat in cui tutto, a loro, è concesso.

Cosa stiamo aspettando? La prossima mano al collo? La prossima chat in cui valutare chi è la più scopabile dell’agenzia? La prossima mano sul culo o tra le gambe? La prossima molestia che “è solo una battuta”? Non si tratta di uscirne puliti, ma migliori. #metoo

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