Quella "guerra dei sessi" dove perdono tutti

Uomini e donne si vedono come avversari, spesso addirittura come nemici. Ma così la violenza potrà solo peggiorare

Quella "guerra dei sessi" dove perdono tutti
00:00 00:00

Si fa presto a dire che la colpa è degli uomini. Anzi: di tutti gli uomini, senza distinzione alcuna, solamente perché dotati di cromosoma XY. È questo il messaggio che viene lanciato oggi, all’indomani dell’omicidio di Giulia Cecchettin, e che era già stato affidato a una campagna di Oliviero Toscani in cui si vedevano due bambini, Mario e Anna. Sotto al primo era presente la scritta “carnefice”. Sotto la seconda, invece, “vittima”. Lo stesso messaggio che Elena, la sorella di Giulia, sta rilanciando in questi giorni. Ma non è affatto così. E non perché vogliamo difendere a tutti i costi la nostra categoria, quella degli uomini, ma perché la realtà, che è fatta anche di numeri e di storie, dice altro.

Esistono infatti pochi, grazie al Cielo pochissimi, uomini come Filippo Turetta. Ne esistono altri che sono rispettosi e corretti con le donne che hanno al loro fianco. Sono i due estremi, uno negativo e l’altro positivo delle relazioni tra uomo e donna. In mezzo, una zona grigia, che c’è ed è inutile negare, e che in questo caso, contrariamente a quanto affermavano gli antichi (in medio stat virtus), non rappresenta la virtù ma la mediocrità. Sono gli uomini e le donne che, a volte senza volerlo, feriscono il cuore delle persone a cui vogliono bene. Spesso anche profondamente, provocando ferite che difficilmente si rimargineranno.

Come è possibile tutto questo? La sociologia e la psicologia moderna ci dicono di accettarci per come siamo. Ci dicono che, alla fine, andiamo bene così e che i nostri punti di debolezza sono i nostri punti di forza. È una versione che ci rassicura e ci tranquillizza perché, in fin dei conti, ci giustifica. Ma che non ci aiuta.

È vero: siamo quello che siamo. Questa definizione, però, vale solo per il qui e ora. Oggi sono io, con i miei pregi e i miei difetti. Ma domani chi voglio essere? E quali sono i miei punti di debolezza sui quali desidero lavorare per essere migliore? Che significa: come posso, da maschio, diventare uomo? Una prospettiva valida la offre padre Maurizio Botta in Uomini e donne. Crisi di lei, crisi di lui, crisi di tutti e due (Edizioni studio domenicano), il quale propone, di fronte alle difficoltà del presente, un ritorno ad un’autentica virilità. E lo fa partendo da una affermazione che chiunque abbia studiato il latino ha imparato a memoria, senza ragionarci troppo su. La parola “virilità” deriva infatti dal nominativo latino “vis” (forza), il cui genitivo è però “roboris” (quercia). Come mai? Perché, scrive Botta, è “l’albero dalle radici profonde, capace di reggere gli urti. Questo è un uomo, un vir. La sua forza non è la battaglia o la conquista, ma l’essere ben radicato per sostenere i colpi e le prove della vita; disposto a combattere per la libertà”. Sua e altrui, aggiungo io. E non è affatto una battaglia facile. Sia perché bisogna lottare ogni giorno contro i nostri istinti più bassi, sia perché uomini e donne stanno vivendo una crisi di identità senza precedenti, che li rende avversari in competizione e, talvolta, persino nemici. In questo clima di confusione generale, dove il genere sparisce (vedi teoria del gender) o ricompare a seconda delle necessità (la criminalizzazione del maschio), noi uomini possiamo fare la nostra parte. Ognuno nel suo piccolo e, soprattutto, nei momenti più difficili. E cosa fa un uomo, che, come abbiamo visto, è “quercia”? Sta. Non si piega, perché il suo tronco è ampio; non si spezza, perché è anche forte; e, infine, non viene divelto perché è ben radicato. Tutto questo però presuppone un impegno incessante e continuo. Un tendere a ciò che si desidera essere senza accontentarsi di ciò che già si è. Radici profonde e rami che puntano verso il cielo.

Filippo non ha retto l’abbandono di Giulia perché dipendeva da lei. Perché, egoisticamente, le aveva affidato la propria felicità. "Senza di lei la mia vita non ha senso". Credeva che l’amore fosse ricevere, mentre invece è dare senza chiedere indietro alcunché. È l’inganno del nostro tempo, che vale tanto per gli uomini quanto per le donne. Pretendiamo dagli altri ciò che non siamo in grado di dare. O che non vogliamo dare perché ciò implicherebbe sacrificio e difficoltà. Scrive padre Maurizio Botta: “Penso che l’amore sia davvero e prima di tutto una questione di libertà. Non semplicemente la propria libertà di offrirsi, ma anche la libertà dell’altro di vivere quest’offerta e questo amore”. Il che presuppone che l’altro possa anche dire di no.

Che fare allora? Pronunciare le parole più difficili che una persona possa dire in un rapporto: “Quando vorrai veramente viverlo, io sarò qui, fedele a quell’amore”. Parole che oggi non fanno più parte del nostro vocabolario. Ma anche, e soprattutto, della nostra vita.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica