La nostra libertà passa dal palato. Difendiamo il gusto, simbolo di identità

Siamo sempre stati quel che mangiamo, non è una novità. La novità è che mai nella storia quel che consumiamo è stato oggetto di coercizioni come in quest'epoca tirannicamente salutista

La nostra libertà passa dal palato. Difendiamo il gusto, simbolo di identità
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Se non suonasse vagamente sovversivo, bisognerebbe fondare il Fronte di Liberazione del Gusto. Perché se il populismo parla alla pancia, l'ideologia all'inconscio e l'appartenenza al cuore, oggi è anche attraverso il palato che si afferma la libertà.

In un mondo rarefatto e intellettualmente artificiale, dove i consumi e le preferenze sono mediate da algoritmi infinitamente più pervasivi delle pubblicità (ingenui gli anni in cui pensavamo di essere schiavi della tv solo perché ci facevamo convincere dal baffo di Ernesto Calindri a sorseggiare Cynar), quel che mangiamo e beviamo diventa un atto politico. E in quanto tale, può essere una scelta di conformismo o ribellione, adeguamento o affermazione quasi anarchica di personalità.

Siamo sempre stati quel che mangiamo, non è una novità. La novità è che mai nella storia quel che consumiamo è stato oggetto di coercizioni come in quest'epoca tirannicamente salutista che persegue l'alcolicidio e l'olocausto del colesterolo. Oggi il corpo o è un tempio o non è. Perché un conto è l'informazione consapevole che illustra i rischi dei grassi saturi, degli alcolici e degli zuccheri per prevenire l'oggettivo problema dell'obesità o delle malattie cardiovascolari; un altro è la martellante psico-polizia orwelliana che persegue qualsiasi quantità di qualsiasi alimento non sia sedano biologico o frumento senza glutine, in uno scenario distopico in cui i piccoli piaceri della gola sono demonizzati come vizi capitali. E pazienza se cibo e alcolici, per quanto nocivi, sono parte della nostra storia, costitutivi della nostra identità.

Così, mentre i discorsi sulla diversità - sessuale, religiosa, culturale - riempiono bocche e social media, la diversità del nostro gusto finisce piallata dalla livella dell'ortoressia. E dalla Val Venosta alla Sila siamo chiamati a ripudiare vino e insaccati, formaggi e distillati. Il tutto, paradossalmente, quando la curiosità per il cibo ha raggiunto il suo apice. Non abbiamo mai avuto tanti programmi di cucina, pagine di approfondimento gastronomico, giovani appassionati di spiriti, donne con diplomi di sommelier, laureati in ingegneria alimentare.

Eppure ci lasciamo devastare il libero arbitrio sensoriale da chi accomuna una bistecca al sangue all'infanticidio, un whisky al sangue di una vergine. È tempo di riprendere le redini del nostro palato. Lo dobbiamo ai nostri antenati. E al nostro sacrosanto diritto al gusto.

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