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Dopo Carlo III, il Re dei Paesi Bassi chiede scusa per il colonialismo: il rischio cancel culture

Sono sempre di più i sovrani che ammettono gli errori del colonialismo e dello schiavismo, ma rimane molto forte il rischio di “cancel culture”

Dopo Carlo III, il Re dei Paesi Bassi chiede scusa per il colonialismo: il rischio cancel culture
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Il Re Guglielmo Alessandro dei Paesi Bassi ha presentato le scuse ufficiali per i danni arrecati dalle piaghe del colonialismo e dello schiavismo. Un’ammissione di colpa che vorrebbe chiudere la porta a un passato doloroso e a cui diversi regnanti europei non si sono sottratti, a partire da Carlo III. Il rischio, solo in apparenza paradossale, è che le pur doverose scuse diventino un’arma nelle mani di chi non solo vorrebbe rovesciare le monarchie accusate di rappresentare l’eredità colonialista, ma coltiverebbe l’insano proposito di riscrivere la Storia attraverso la “cancel culture”.

“Oggi mi scuso”

“La schiavitù è il crimine più doloroso, degradante e inumano”, ha esordito Re Guglielmo Alessandro dei Paesi Bassi lo scorso primo luglio, durante un discorso storico all’Oosterpark di Amsterdam in occasione della commemorazione per i 150 dalla liberazione degli schiavi nelle ex colonie. Ad ascoltare il sovrano c’erano i discendenti degli schiavi del Suriname, di Aruba, Bonaire e Curacao, che ricordano l’evento con il nome di “Keti Koti”, ovvero “rottura delle catene” in lingua surinamese.

Guglielmo Alessandro non ha in alcun modo minimizzato il ruolo del suo Paese nel colonialismo, sottolineando: “La schiavitù, in quanto crimine, considera le persone come merci, strumenti involontari per il profitto”. Ha menzionato la disposizione legale olandese del 1644 in cui viene stabilito che “nella città di Amsterdam e nella sua giurisdizione tutti gli uomini sono liberi e nessuno è schiavo”. I Paesi Bassi non possono dimenticare “l’orrore” del passato, soprattutto considerando che “Nei Paesi Bassi…la schiavitù era severamente proibita, mentre si considerava normale nelle colonie d’oltremare”. Il Re si è definito “personalmente ed estremamente” colpito: “Oggi mi presento davanti a voi in qualità di sovrano e come parte del governo. Oggi mi scuso”.

Queste scuse ufficiali, accolte da applausi, fanno seguito a quelle del primo ministro olandese Mark Rutte, che lo scorso dicembre, all’Aia, disse: “Il commercio degli schiavi e la schiavitù sono riconosciuti come un crimine contro l’umanità” e “per secoli i Paesi Bassi…hanno reso possibile e favorito la schiavitù, traendone profitto. È vero che nessuna persona che vive oggi porta su di sé colpe personali per la schiavitù, ma lo Stato è responsabile dell’immensa sofferenza inflitta…”.

Un rapporto commissionato dal ministero dell’Interno olandese e citato da Sky Tg 24 sostiene che la monarchia olandese avrebbe guadagnato una cifra equivalente a 545 milioni di euro tra il 1675 e il 1770 dalle colonie. Parliamo di circa 600mila persone trasportate su navi olandesi attraverso l’Atlantico per essere ridotte in schiavitù nelle piantagioni. Circa 75mila morirono nella traversata. I numeri danno solo una vaga idea del dolore che queste persone e i loro discendenti hanno patito e le scuse rappresentano l’emblema di un cambiamento di mentalità e di sensibilità molto importante e atteso.

Il “profondo dolore” di Carlo III

Re Guglielmo Alessandro non è il primo sovrano a riconoscere il terribile errore del colonialismo e della schiavitù. Durante il suo primo banchetto di Stato a Buckingham Palace, di fronte al presidente sudafricano Cyril Ramaphosa, Re Carlo III fece un discorso che nessuno si aspettava e che segnò un cambio di rotta, diciamo così, rispetto al regno di Elisabetta II: “Benché vi siano elementi di quella storia che provocano profondo dolore, è essenziale che tentiamo di comprenderli…dobbiamo ammettere i torti che hanno dato forma al nostro passato se vogliamo liberare il potere del nostro futuro comune”.

Carlo III si era già espresso contro il colonialismo in due occasioni precedenti al banchetto di Stato, quando era ancora principe di Galles. La prima nel novembre 2021 a Barbados, che era appena diventata una repubblica: “La repubblica per voi qui a Barbados è un nuovo inizio dai giorni più bui del nostro passato e dalla vergognosa atrocità della schiavitù, macchia indelebile sulla nostra Storia”.

La seconda, nel giugno 2022, di fronte ai leader del Commonwealth: “Non riesco a descrivere la profondità del mio dolore personale di fronte alla sofferenza di molti”, dichiarò Carlo, spiegando che le stesse radici del Commonwealth “affondano in profondità nel più doloroso periodo della nostra Storia”, ma “è arrivato il momento di affrontare l’argomento”.

Le “ferite” del colonialismo in Congo

Nel giugno 2020 il Re del Belgio Filippo scrisse una lettera al presidente della repubblica democratica del Congo, Felix Tshisekedi, pubblicata in occasione del 60esimo anniversario dell’indipendenza della nazione africana. Il sovrano espresse “i rimpianti più profondi” per “gli atti di violenza e crudeltà”, per “la sofferenza e l’umiliazione” inflitte all’epoca della dominazione belga del Congo, “che continuano a pesare sulla nostra memoria collettiva”. Il Corriere.it ha riportato un dato terrificante a proposito di quel periodo: sarebbero state uccise 10 milioni di persone.

Il caso del Re di Spagna

Nel gennaio 2022 a Porto Rico, poche ore prima della visita ufficiale del Re Felipe di Spagna, venne abbattuta la statua dedicata al governatore Juan Ponce de León. Un gesto eclatante che contrariò molto il sovrano il quale, durante il discorso per il 500esimo anniversario della fondazione di Porto Rico, citato dal Telegraph, disse di sentirsi “orgoglioso del nostro passato condiviso, di quei valori che la Spagna fornì allora e che sono ancora validi oggi”. Sua Maestà non presentò scuse, non riconobbe la sofferenza arrecata a chi visse il periodo della dominazione spagnola, anzi.

Descrisse la colonizzazione di Porto Rico come un “modello dell’espansione spagnola nelle Americhe”, sostenendo che avesse portato “istituzioni governative, la costruzione di università, scuole, ospedali, tipografie”. Il Re aggiunse: “La Spagna ha portato la sua lingua e la sua cultura…il concetto dei diritti umani”.

Un discorso controverso, perché una possibile risposta potrebbe sottolineare che “portare” dei valori in un luogo (neanche fossero dei mobili), presupporrebbe anche che venissero rispettati. In parole povere: ammesso che sia possibile “trasferire” da un popolo all’altro il concetto di libertà individuale, sarebbe anche opportuno mettere in pratica tale concetto, cioè formare persone libere. Ma per fare tutto ciò occorre tempo e uno spirito di collaborazione che non conosce né prevaricazione, né paternalismo.

Il rischio nascosto

C’è chi non si è accontentato delle scuse dei Re europei, pretendendo un risarcimento in denaro, benché sia impossibile dare alla vita umana un valore quantificabile. C’è, poi, la questione delle opere d’arte, dei gioielli di cui i popoli ormai indipendenti chiedono la restituzione agli ex colonizzatori. Pensiamo, per esempio, al Koh-i-Noor, il diamante che l’India ha più volte chiesto indietro, invano, alla Gran Bretagna. Per alcuni sarebbe la prova che le scuse rimarrebbero lettera morta, senza tradursi in gesti concreti di pentimento.

L’eco del colonialismo è arrivata fino a noi. La sofferenza è stata così forte da tramandarsi di generazione in generazione. Tutto ciò, però, non giustifica il tentativo di cancellazione di quelli che si ritengono simboli di quel periodo. Non ha senso abbattere e vandalizzare, per esempio, la statua della regina Elisabetta, come accaduto in Canada nel 2021 ed è altrettanto inutile riservare la stessa sorte a quella della regina Vittoria.

Gesti come questi sono sintomo di una frustrazione e di una rabbia esplosive ma, in diversi casi, anche della volontà di riscrivere il passato. Ma è impossibile ed è anche deleterio. Cosa accadrà se tutte le statue dovessero essere abbattute, tutti i monumenti che per qualche ragione si discostano da una certa linea di pensiero distrutti, tutti i libri che non dicono ciò che vogliamo sentirci dire bruciati, neanche fossimo all’epoca dell’inquisizione o del nazismo? Saremmo condannati a ripetere gli errori del passato. A imparare di nuovo, sulla nostra pelle, la lezione che abbiamo voluto dimenticare. Con la Storia bisogna fare i conti attraverso lo studio e la comprensione.

La Storia va anche accettata affinché diventi possibile chiudere un capitolo e iniziarne uno nuovo con rinnovata consapevolezza.

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