
Nel corso della storia all’interno delle corti di tutto il mondo (e non solo negli ambienti reali, per la verità), ci sono state spesso figure ambigue, piuttosto abili ad esercitare un certo potere rimanendo nell’ombra. Eminenze grigie che tramavano per imprimere alla vita di Palazzo e anche alla politica la forma che desideravano in base ai loro scopi. Lady Diana era convinta che questi personaggi oscuri esistessero anche a Buckingham Palace e che la controllassero costantemente. Li chiamava “uomini in grigio” e riteneva che potessero perfino influenzare la sua reputazione, danneggiandola irrimediabilmente. Una convinzione condivisa oggi anche dal principe Harry il quale, nel suo memoir “Spare” e in dichiarazioni recenti, ha espresso timore e disprezzo nei confronti di questi cortigiani sfuggenti e intriganti.
Un abito per provocarli
È impossibile dimenticare la splendida immagine di Lady Diana fasciata nel celebre “Revenge Dress” di Christina Stambolian. La principessa scelse quell’abito per partecipare alla cena di gala organizzata da Vanity Fair alla Serpentine Gallery, il 29 giugno 1994, proprio nelle stesse ore in cui il suo ex marito Carlo confessava i tradimenti con Camilla ai microfoni di Jonathan Dimbleby.
Diana non avrebbe indossato quell’abito tanto elegante quanto contrario a tutte le norme del protocollo solo per rivalsa nei confronti dell’allora erede al trono. Il suo sarebbe stato anche un gesto provocatorio nei confronti di alcuni cortigiani, che avrebbero sperato di piegare la sua volontà alle loro logiche e a quelle del Palazzo. La principessa li avrebbe soprannominati “uomini in grigio”, sottolineandone, in questo modo, non solo il ruolo di funzionari dell’istituzione, ma anche la loro capacità di passare quasi inosservati, in un certo senso di mimetizzarsi con l’ambiente circostante mentre tessevano le loro trame.
Lady D parlò dell’esistenza di questi personaggi con un suo amico, il dottore e aristocratico britannico James Colthurst. Questi ha raccontato al Daily Mail quanto Diana si sentisse sotto pressione a causa di queste strane figure, che avrebbero continuato a prenderla di mira anche dopo la separazione da Carlo.
Il 29 giugno 1994 l’ansia della principessa sarebbe stata anche più intensa del solito. Colthurst ha ricordato: “Quel giorno [Diana] non ne poteva proprio più, perché era stata criticata da quelli che chiamava ‘uomini in grigio’, forse per uno dei suoi discorsi di successo. Lei era convinta di fare la sua parte per la Firm, come la chiamava e non era apprezzata. Il giorno precedente al party di Vanity Fair disse: ‘Oh per l’amor del Cielo, ci risiamo’”, riferendosi, probabilmente, all’attenzione quasi morbosa dei presunti “uomini in grigio”.
Colthurst, notando il suo sconforto, le diede un consiglio: “Devi compiere un gesto di sfida. Metti qualcosa che attiri l’attenzione”. Diana, come atto di ribellione e di affermazione di se stessa, scelse quello che sarebbe passato alla Storia come “Revenge Dress”. Quella sera di giugno per la principessa iniziò una nuova fase che la consacrò nel duplice ruolo di filantropa e icona della moda. Una donna indipendente, potremmo persino dire affrancata dalle regole e dallo stile di vita della corte, che finalmente stava esprimendo una personalità forte e matura.
“Gelosia”
Secondo Colthurst il metaforico assedio quotidiano degli “uomini in grigio” nei confronti di Lady Diana avrebbe avuto un unico movente: la “gelosia”. Questo sentimento sarebbe divampato nell’entourage di Carlo (non dimentichiamo che, secondo i tabloid e gli esperti, anche il l'allora principe sarebbe stato geloso della popolarità della moglie), diventando inarrestabile, proprio come il successo di Diana. “La criticavano per qualcosa che lei pensava di aver fatto bene”, ha aggiunto il dottore. Gli “uomini in grigio”, non sarebbero mai riusciti a demolire la determinazione e l’immagine della principessa, sebbene quest’ultima non fosse indifferente ai loro attacchi.
Nel libro “Diana. Her True Story” (1992), Andrew Morton ha scritto: “Diana iniziò a comprendere di aver bisogno di prendere provvedimenti per fuggire dalla prigione in cui riteneva di essere, un matrimonio profondamente infelice accompagnato da un sistema reale governato dagli ‘uomini in grigio’, come li chiamava”.
La principessa avrebbe voluto trovare la sua strada. Anzi, in parte quel percorso sarebbe stato già chiaro nella sua mente. Morton ha aggiunto: “Aveva una visione umanitaria per se stessa e voleva raccontare alle persone la sua storia, a quelli che considerava il suo popolo, così tutti avrebbero capito chi lei era in realtà prima che fosse troppo tardi…Si sentiva prigioniera, intrappolata nel sistema…senza una voce. Credeva che l’immagine che avevamo di questa sorta di principessa delle favole fosse una bugia grottesca e voleva che le persone sapessero cosa stava davvero accadendo nella sua vita”. Il “Revenge Dress” sarebbe stato un primo, fondamentale passo in tal senso.
L’intervista alla Bbc
I presunti “uomini in grigio” avrebbero tentato di fermare il dirompente desiderio di libertà di Lady Diana a colpi di dure critiche. Forse oltre alla “gelosia” di cui ha parlato Colthurst, potremmo individuare anche una generosa dose di invidia verso una principessa amata in tutto il mondo anche dopo la sua morte. Lady D non è mai stata dimenticata e ancora oggi l’interesse per la sua vita, il suo lavoro, il suo pensiero è alle stelle.
Stando al giornalista Dan Wootton le eminenze grigie di Buckingham Palace avrebbero persino tentato di delegittimare la principessa, di offuscarne l’immagine anche dopo la tragica notte del 31 agosto 1997, servendosi di un evento ancora oggi considerato controverso: l’intervista alla Bbc del 1995. Sul Sun Wootton ha spiegato: “L’istituzione che voleva a tutti i costi zittire Diana quando era viva, ora sta provando a screditare la sua storica intervista”, a quanto sembra facendola passare per “una specie di sventurata damigella in pericolo finita” nella rete di “Bashir”. Strategia che Wootton ha definito “esasperante”.
Il giornalista non ha negato l’inganno orchestrato da Bashir per ottenere l’intervista, ma ha messo in evidenza che comunque la principessa “sapeva esattamente ciò che stava facendo, poiché aveva ricevuto offerte simili da Oprah Winfrey, Barbara Walters e Sir David Frost… Comprese che quello era il momento della rottura definitiva dalla monarchia…Nessuno la costrinse a fare quell’intervista”.
Su questo punto potremmo discutere: non è necessario obbligare qualcuno con la forza per ottenere un risultato. È possibile raggiungere lo stesso scopo in maniera meno eclatante e più subdola, attraverso la manipolazione e le menzogne, come avrebbe fatto Bashir.
Del resto raccontare una realtà fittizia, far passare una bugia per la verità significa sottrarre, nascondere a chi ascolta degli elementi necessari per comprendere una situazione. Dunque vuol dire privarlo, in maniera indiretta, della libertà di scelta e, di conseguenza, costringerlo a un’opinione manipolata, preconfezionata, non libera. Wootton ha menzionato la lettera che Lady D avrebbe scritto sostenendo che i falsi documenti mostrateli da Bashir per ottenere l’intervista non avrebbero guidato le sue scelte. Tuttavia la missiva sarebbe andata perduta.
In ogni caso il giornalista del Sun potrebbe aver ragione su un punto: la principessa sarebbe stata consapevole dell’effetto esplosivo delle sue dichiarazioni alla Bbc e di quanto avrebbero influito sulla monarchia, sconvolgendone l’esistenza e il futuro. Nel 2020, ha ipotizzato Wootton, sarebbero stati proprio gli “uomini in grigio” a bloccare parzialmente questa eco mediatica infinita censurando l’intervista sulla Bbc e su Internet, nonostante il suo “valore storico”.
“Dovrebbero restarne fuori”
Lady Diana, ha riportato Newsweek, avrebbe definito lo staff di Carlo un “nemico” e avrebbe confidato alla sua cerchia di confodenti di essere sicura che i cortigiani la considerassero “una minaccia” per la monarchia. Nessuno, però, conosce l’identità di questi presunti “nemici” della principessa. Non è neppure chiaro cosa guadagnassero effettivamente dall’ostilità nei confronti di Lady D. Comunque gli stessi timori che avrebbe provato Diana sono condivisi, oggi, dal principe Harry.
Le dichiarazioni del portavoce del duca in merito alle indiscrezioni pubblicate dal Sun sull’incontro del 10 settembre scorso con Carlo III hanno catturato l’attenzione mediatica, riportandoci indietro nel tempo agli ultimi anni di vita della principessa Diana. Secondo alcune voci, infatti, il colloquio privato tra il sovrano e il suo secondogenito sarebbe stato piuttosto freddo e “formale”, non il passo avanti verso la pace che tutti speravano. Harry, stanco del gossip, ha affermato attraverso il suo incaricato: “Il rapporto tra il duca e Sua Maestà il Re è una questione che riguarda soltanto loro due. Gli uomini in grigio dovrebbero restarne fuori”.
L’Ape, la Mosca e la Vespa
Non è la prima volta che Harry parla di queste eminenze grigie. Nella sua autobiografia, “Spare” (2023), viene accennata una descrizione: “Uomini bianchi di mezza età che erano riusciti a consolidare il potere tramite una serie di audaci manovre machiavelliche…degli usurpatori”. L’identità di questi uomini rimane sconosciuta, sebbene il duca li abbia catalogati, con sarcasmo e disprezzo, in quelle che chiama “categorie zoologiche”: “L’Ape. La Mosca. E la Vespa. L’Ape era…così composto che la gente non lo temeva. Grave errore. A volte il loro ultimo errore. La Mosca aveva passato gran parte della sua carriera accanto alla m…Gli scarti di governo, e i media…Si sforzava…di fingersi superiore alla mischia…La Vespa era allampanato, affascinante, arrogante… Era bravissimo a farsi passare per educato, perfino servile…Poco tempo dopo, senza preavviso, ti dava una pugnalata…”.
Il Times ha ipotizzato che “l’Ape” potrebbe indicare Sir Edward Young, segretario privato della regina Elisabetta, mentre la “Mosca” sarebbe Simon Case, segretario privato del principe William e la “Vespa” Clive Alderton, segretario privato di Carlo III. Naturalmente non vi è alcuna conferma per quel che concerne questi nomi. Tuttavia, se davvero fosse così, l’impressione è che Harry si sarebbe inimicato tutta la corte o, almeno, i personaggi di rilievo.
A questo punto alcune domande sono d’obbligo: sarebbero stati questi presunti “uomini in grigio” a mettersi contro Harry, oppure quest’ultimo, con il suo atteggiamento ribelle, di sfida, potrebbe aver irritato il Palazzo, sempre molto attento alla forma e alle tradizioni? Elisabetta II, Carlo III e William erano consapevoli delle presunte manipolazioni di questi cortigiani? Possibile che non si siano accorti di nulla, o che abbiano addirittura permesso una sorta di guerra interna contro Harry? Quanto della narrazione del duca di Sussex corrisponde alla realtà dei fatti e quanto a una sorta di mania di persecuzione?
L’ultimo quesito, in particolare, riguarda anche Lady Diana. Dopo l’inchiesta sulle modalità con cui il giornalista Martin Bashir avrebbe ottenuto l’intervista della principessa alla Bbc, nel maggio 2021, il principe William dichiarò in un video citato dal Guardian: “La BBC…ha alimentato la paranoia di mia madre. L’intervista è stata un fattore importante che ha contribuito a peggiorare la relazione tra i miei genitori…”.
Nessuno conosce l’origine esatta di quella presunta “paranoia”. In altre parole non possiamo dire se alla base di questo stato di diffidenza costante provato dalla principessa vi fossero timori irrazionali, oppure episodi reali, magari verificatisi una sola volta e mai più ripetuti nel tempo. Allo stesso modo è impossibile sapere se la campagna di diffamazione e ostruzionismo di cui il principe Harry riterrebbe di essere stato vittima a corte sia un fatto concreto, oppure solo la sensazione di non essere compreso, né valorizzato.
L’esistenza degli “uomini in grigio” rimane un mistero: forse non esistono davvero, sono
soltanto cortigiani più spregiudicati, ma senza un vero potere. O magari è proprio ciò che vogliono farci credere. Del resto, come disse Baudelaire, “la più grande astuzia del demonio è far credere che non esiste”.