
La fine del matrimonio di Raoul Bova e Rocio Morales - e il presunto tradimento consumato dall'attore con la modella 23enne Martina Ceretti - non è più solo una questione personale. In ballo ci sono un procedimento per estorsione, una causa civile per l'affidamento delle figlie della coppia e persino un'indagine del Garante per la Privacy per la diffamazione, di cui Bova sarebbe stato vittima a seguito della diffusione degli audio e delle chat con la sua presunta amante. Ed è proprio su quest'ultimo piano che l'attore sembra essere deciso ad andare fino in fondo.
Meta, Google e TikTok nel mirino
Nel mirino degli avvocati del protagonista di "Don Matteo" ci sono le aziende che hanno speculato sullo scandalo, che lo vede protagonista da fine giugno, e l'elenco è lungo. Non ci sono solo il Napoli Calcio, la società calcistica Torino e la compagnia aerea Ryanair, ree di avere sfruttato la famosa frase "occhi spaccanti" pronunciata dall'attore nell'audio privato registrato per Martina e reso pubblico da Fabrizio Corona. Nel reclamo presentato al Garante per la Privacy dallo studio legale di Annamaria Bernardini de Pace, che difende Raoul Bova, ci sono anche Meta, Google, Youtube, TikTok e X.
Le accuse legate diffusione social
"L'audio in questione è stato diffuso in modo illecito, fraudolento, virale e scellerato. Divulgato contro il volere, anzi all'insaputa di Raoul Bova, su tutte le piattaforme social e sui motori di ricerca", ha spiegato Bernardini de Pace sulle pagine del Corriere. Le aziende - oltre a Fabrizio Corona - sono accusate di avere rimbalzato e dato risonanza allo scandalo, citando parti di audio e chat. In particolare Ryanair è accusata di avere creato un instant marketing dalle chat private di Bova e Marina Ceretti mentre Torino e Napoli sono accusate di "avere pubblicato ciascuna un post ironico ma diffamatorio", che hanno ottenuto un notevole engagement con migliaia di like e commenti.
Cosa chiede Raoul Bova
Attraverso i suoi legali l'attore chiede che tutti i contenuti riferibili all'intera vicenda vengano rimossi immediatamente dalla rete e dai social network ma non solo.
Nel reclamo si chiede anche di "deindicizzare in modo globale la ricerca dei file e di prevedere le massime sanzioni previste e la condanna di tutti i soggetti a un risarcimento danni". La cifra è da capogiro: mezzo milione di euro a testa. Soldi che l'attore potrebbe poi devolvere in beneficenza.