Il presidente francese Emmanuel Macron ha annunciato l'istituzione di un Servizio Volontario Nazionale e “puramente militare” di dieci mesi a partire dall'estate 2026, specificando che i volontari serviranno “esclusivamente sul territorio nazionale”.
Il piano prevede la mobilitazione di 2000-3000 persone su base volontaria nel primo anno, con un obiettivo di 50mila entro il 2035. Aperto a uomini e donne francesi dai 18 anni in su, a partire dal 2026, durerebbe dieci mesi e offrirebbe uno stipendio compreso tra 900 e mille euro al mese. Questa mobilitazione potrebbe rispondere alla necessità di “acquisire il personale necessario” per sostenere un conflitto a lungo termine, ha dichiarato quest'estate il generale Pierre Schill, capo di Stato maggiore dell'esercito francese.
Attualmente, le forze armate di Parigi comprendono circa 200mila militari in servizio attivo e 47mila riservisti, e la Francia già da tempo ha nel suo ordinamento la possibilità, per i giovani di effettuare il Servizio Nazionale Universale: un programma della durata di un mese rivolto ai giovani tra i 15 e i 17 anni lanciato nel 2019 che avrebbe dovuto servire per “incrementare la coesione della nazione”, ma che si è rivelato un fallimento sia per via dell'aumento dei costi (10 miliardi di euro invece dei 2 originariamente previsti) sia perché in termini di diversità sociale e di impegno civico le ambizioni del programma non sono state raggiunte, pertanto è stato abolito a settembre di quest'anno.
La prospettiva di questa nuova versione del servizio militare è stata accolta relativamente bene dall'establishment politico e sembra che l'opinione pubblica francese accolga bene il ritorno della leva, con l'86% della popolazione che ne vorrebbe il ripristino secondo sondaggi statali. Tuttavia, questa percentuale scende al 53% se si tratta di servizio militare obbligatorio, e al 41% tra gli under 35 direttamente interessati dalla coscrizione.
La trasformazione del Servizio Nazionale Universale in Servizio Volontario Nazionale è una componente della risposta francese alla minaccia russa determinata dalla situazione della guerra in Ucraina e dalla prospettiva di un aperto conflitto con la Russia in un prossimo futuro, come riferiscono le agenzie di intelligence di buona parte delle nazioni europee.
Il presidente Macron però potrebbe aver scelto le tempistiche sbagliate per l'annuncio del servizio militare volontario: qualche giorno fa il capo di Stato maggiore della Difesa, Fabien Mandon, aveva avuto un eccesso di confidenza quando, al congresso dei sindaci di Francia del 18 novembre, si era lasciato scappare un'affermazione infelice sostenendo che la Francia deve ritrovare la “forza d'animo per accettare la sofferenza al fine di proteggere ciò che siamo” ed essere pronta ad “accettare la perdita dei nostri figli”. Il clamore suscitato da queste affermazioni – anche al di fuori della Francia – ha costretto l'Eliseo a precisare che la riforma del servizio non è volta a mandare i ragazzi “a morire in Ucraina” ma a “rafforzare il patto tra le forze armate e la nazione”. Tuttavia in questo momento storico di crisi internazionali, è importante che la popolazione capisca che le forze armate servono per la sicurezza di una nazione e che il loro livello capacitivo, composto da mezzi all'avanguardia numericamente consistenti e addestramento efficace, è l'unico strumento di deterrenza per evitare un possibile conflitto.
In Unione Europea ci sono sei paesi che non hanno mai abolito il servizio militare obbligatorio (Grecia, Austria, Cipro, Danimarca, Estonia, Finlandia) e quattro hanno deciso di ripristinarlo negli ultimi anni in risposta alla crescente instabilità geopolitica. Si tratta di Lituania, la prima a farlo nel 2014, Lettonia, Svezia e Croazia, ultima ad averlo fatto con la decisione di ristabilire la leva nel 2026. La Germania sta pensando a una forma di coscrizione selezionata e intanto ha ristabilito le liste di leva: dal primo gennaio 2026 circa 700mila giovani nati dopo il 2008 saranno obbligati a presentarsi ai distretti militari per effettuare visite mediche.
In Italia il dibattito politico sul ripristino della leva è ancora aperto, e questo governo, sebbene abbia presentato la problematica della carenza numerica del personale nelle forze armate a fronte sia degli impegni da sostenere sia delle nuove e prossime sfide, non ha ancora stabilito una linea in tal senso.
Il nostro suggerimento è sempre stato quello di avere una leva selezionata sul modello svedese (10mila unità selezionate a ogni coscrizione) e di ricalibrare lo strumento della riserva aumentandone i ranghi in modo da poterla utilizzare per togliere personale in servizio attivo da compiti secondari e d'ufficio, con in prospettiva la formazione di unità di completamento pronte all'uso in caso di necessità.