La Russia sfida Israele all'Onu: "Potenza occupante, non ha diritto a difendersi"

La Russia e le relazioni pericolose con i nemici d'Israele. Sempre più precario il difficile equilibrio diplomatico tra Mosca e Tel Aviv

La Russia sfida Israele all'Onu: "Potenza occupante, non ha diritto a difendersi"
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Cala il gelo nelle relazioni tra Israele e Russia. Sin dal giorno del più grave attacco contro lo Stato ebraico dalla sua fondazione nel 1948 le mille contraddizioni dell’ambiguo rapporto tra Tel Aviv e Mosca continuano ad emergere a ritmo quotidiano. L’ultima bordata arriva dalle dichiarazioni dell’ambasciatore russo alle Nazioni Unite, Vasily Nebenzya, il quale in una seduta di emergenza dell’Assemblea generale dell'Onu ha affermato che Tel Aviv non ha diritto a difendersi “in quanto potenza occupante”.

La dichiarazione contraddittoria del rappresentante russo – nel corso della stessa riunione Nebenzya ha sostenuto che Israele ha comunque il diritto a “garantire la propria sicurezza” e a “combattere il terrorismo” - è stata accompagnata dalla critica agli Stati Uniti per aver cercato di promuovere la normalizzazione dei rapporti tra lo Stato ebraico e i Paesi arabi prima di qualsiasi accordo tra israeliani e palestinesi. La Russia ha espresso da tempo la sua perplessità per gli accordi di Abramo che hanno portato il Bahrein, gli Emirati Arabi Uniti, il Sudan e il Marocco ad allacciare relazioni con Tel Aviv e ai quali, prima della strage del 7 ottobre, stava per unirsi anche l’Arabia Saudita.

La reazione di Vladimir Putin agli attacchi al rave party e ai kibbutz israeliani e le parole dell’ambasciatore Nebenzia segnano la fine della “delicata intesa” tra la Russia e lo Stato ebraico. In Israele non era già passato inosservato il lungo silenzio dello zar in seguito agli attacchi del sukkot. Il presidente russo ha infatti lasciato passare nove giorni dal sabato nero prima di chiamare il premier Benjamin Netanyahu ed offrire le sue condoglianze. Oltretutto Putin non ha espresso parole di condanna per Hamas limitandosi ad affermare il suo “rifiuto di qualunque azione che trasformi la popolazione civile in vittime”. Ha suscitato inoltre grande imbarazzo l’incontro a Mosca a fine ottobre tra il viceministro degli Esteri russo, Mikhail Bogdanov, e Mousa Mohamed Abu Marzouk, il numero due politico del gruppo islamista. Un meeting avvenuto a poche ore di distanza da quello tra il viceministro degli Esteri iraniano, Ali Bagheri Kani, e il suo omologo russo.

Le relazioni pericolose di Mosca con attori ostili allo Stato ebraico risalgono agli anni dell’Unione Sovietica quando quest’ultima forniva supporto militare e politico ai palestinesi e ad altre nazioni arabe. Dopo una fase di declino negli anni Novanta, l’ascesa di Putin al potere ha segnato il ritorno dell’influenza russa nella regione mediorientale accompagnato da legami stretti ma ambigui con Israele, un Paese in cui risiedono più di un milione di persone di origine russa, e i suoi nemici. Lo zar negli scorsi anni ha coltivato rapporti sia con il leader palestinese Mahmoud Abbas che con Hamas e nel settembre del 2022 Ismail Haniyeh, il capo del movimento islamista, ha incontrato Sergej Lavrov, ministro degli Esteri russo.

Nel 2015 Mosca si è unita all’Iran per aiutare il presidente siriano Bashar al Assad a domare la guerra civile e a riprendere il controllo di territori occupati anche dai terroristi dello Stato islamico. Di recente la relazione strategica con Teheran si è rivelata utile per le forze militari russe impegnate nella guerra contro l’Ucraina. La Repubblica islamica fornisce infatti alla Russia i droni kamikaze Shahed e componenti necessari per fabbricare “in casa” i velivoli senza pilota. In cambio il regime degli ayatollah riceve aerei da addestramento Yak-130 in vista di una possibile concessione di jet Su-35 e, secondo indiscrezioni, una “selezione” di armi di produzione occidentale recuperate sul campo ucraino.

Proprio la guerra nell’Europa dell’est aveva portato Tel Aviv ad adottare una precaria linea diplomatica essendo l’unico tra i Paesi occidentali a non aver adottato sanzioni contro Mosca e a non inviare armi all’Ucraina temendo potessero finire in mano all’Iran e ai suoi alleati.

Nelle ultime ore il Wall Street Journal ha rivelato una collaborazione tra gli uomini della Wagner ed Hezbollah, il gruppo sciita filoiraniano che minaccia di aprire un secondo pericoloso fronte contro Israele. Per Netanyahu che appena un anno fa definiva il suo rapporto con Putin “una questione di interessi e non d’amore” appare sempre più difficile fare finta che con lo zar nulla sia cambiato.

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