Guerra in Israele

Le trattative, gli ostaggi e Hamas: perché il Qatar fa il doppio gioco

Il Washington Post riporta che il Qatar rivedrà i suoi legami con Hamas alla fine della crisi degli ostaggi. Siamo alla fine della politica del piromane e del pompiere?

Le trattative, gli ostaggi e Hamas: perché il Qatar fa il doppio gioco

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Con Hamas niente sarà come prima”. Queste le parole pronunciate pubblicamente dal segretario di Stato americano Antony Blinken pochi giorni dopo gli attacchi del 7 ottobre. Più che il messaggio a stupire è stato il luogo, in Qatar, in cui il rappresentante per la politica estera di Joe Biden ha fatto la sua dichiarazione. Doha, infatti, intrattiene stretti rapporti con il movimento islamista e non a caso è un crocevia fondamentale per le trattative sulla sorte dei 229 ostaggi nascosti nella Striscia di Gaza. Come rivela in queste ore il Washington Post, nell’incontro del 13 ottobre con Blinken l’emiro Tamim bin Hamad al-Thani ha accettato di riconsiderare la presenza di Hamas sul suo territorio al termine della crisi nella regione.

Il quotidiano americano non è in grado di chiarire se la revisione della collaborazione tra Hamas e il Qatar comporterà un esilio totale per i militanti islamisti. Il piccolo ma potente Paese del Golfo Persico, oltre ad essere un grande alleato degli Stati Uniti, ospita la direzione politica dell’organizzazione che nel 2007, dopo una breve guerra civile con Fatah, ha preso il controllo della Striscia di Gaza. È a Doha che hanno trovato rifugio anche Ismail Haniyeh, il capo supremo del movimento, e Khaled Meshaal, scampato nel 1997 ad un tentativo di assassinio da parte di Israele. “Se i leader di Hamas lasceranno il Qatar probabilmente andranno in Iran, in Siria, in Libano oppure in Algeria” sostiene Bruce Riedel, un esperto di Medio Oriente ed ex agente Cia.

I comandanti militari dell’organizzazione sunnita impegnati nella Striscia accusano spesso i rappresentanti politici di condurre la lotta contro lo Stato ebraico nel comfort degli alberghi di lusso del Qatar. In questi giorni, Haniyeh ha cercato di rilanciare la sua immagine di guida pubblicando un video in cui afferma che “abbiamo bisogno del sangue delle donne, dei bambini e degli anziani per risvegliare lo spirito rivoluzionario”.

Il Qatar, una potenza economica che detiene uno dei maggiori giacimenti di gas e il quarto più alto reddito pro capite al mondo, ha a disposizione un’impressionante riserva finanziaria che Doha starebbe sfruttando nei negoziati sugli ostaggi. L’emirato è infatti considerato il bancomat di Hamas - passa circa 30 milioni di euro l’anno al movimento - e paga gli stipendi dei dipendenti pubblici nella Striscia. La minaccia di stringere i cordoni della borsa potrebbe quindi aver giocato un ruolo, insieme al contributo dell’Egitto, nel rilascio delle quattro donne israeliane prigioniere a Gaza.

Per gli Stati Uniti il Qatar è un interlocutore fondamentale perché permette un canale di comunicazione con Hamas che invece non è percorribile con l’Iran, loro vero grande sostenitore. Washington considera Doha uno dei suoi principali alleati non appartenenti alla Nato e ad al-Udeid ha sede il quartier generale del Centcom, la più grande base americana del Medio Oriente.

L’emirato in passato è servito come punto di contatto per trattative segrete tra gli Usa, i talebani e Teheran ed ha fornito un fondamentale contributo nell’evacuazione dei soldati americani dall’Afghanistan. Doha intrattiene inoltre da decenni rapporti con Israele, anche quando gli altri Paesi del Golfo erano contrari ad ogni contatto con lo Stato ebraico. Per gli analisti la strategia di non allineamento perseguita dal Qatar non dipenderebbe da particolari motivazioni religiose ma dalla volontà dei suoi regnanti di conseguire la posizione di attore strategico e influente nonostante le dimensioni ridotte del Paese.

Un’analisi pubblicata dal Jerusalem Post denuncia però che Doha, sostenendo Hamas e cercando ora di favorire il rilascio degli ostaggi, non può più permettersi di rivestire allo stesso tempo i ruoli di piromane e di pompiere. La crisi mediorientale sarà dunque un test di equilibrismo diplomatico senza precedenti per il Qatar anche su un altro fronte. Durante la sua visita Blinken ha chiesto infatti ad al-Thani di “abbassare il volume” della copertura mediatica dedicata a Gaza da Al Jazeera, la rete televisiva qatariota.

La guerra ingaggiata da d’Israele contro i miliziani islamisti non si combatte solo sul campo ma anche nel mondo dell’informazione.

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