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Adesso il decreto sicurezza è al vaglio della consulta costituzionale

I giudici sono chiamati ad esprimersi sui dubbi sollevati dal tribunale di Milano circa i presunti profili incostizionali di una parte del decreto sicurezza voluto da Matteo Salvini

Adesso il decreto sicurezza è al vaglio della consulta costituzionale

A livello politico, nonostante i proclami del mese scorso e la presentazione di un piano elaborato dal ministro Lamorgese, sui decreti sicurezza voluti da Matteo Salvini l’attuale governo non ha attuato la tanto decantata “discontinuità”.

Disaccordi interni alla maggioranza e differenze di vedute sulle stesse norme approvate dal precedente esecutivo gialloverde, hanno rallentato per non dire del tutto fermato ogni mossa del Conte II in merito.

Ed allora, ecco che ad intervenire sui decreti così tanto malvoluti da una parte dell’attuale maggioranza potrebbero arrivare prima i giudici della consulta. È iniziato infatti quest’oggi il procedimento che dovrà valutare la costituzionalità o meno di parti dei decreti sicurezza.

In particolare, la consulta punterà le attenzioni sul divieto di iscrizione dei richiedenti asilo presso l’anagrafe comunale. Si tratta di uno dei punti più dibattuti sia sotto il profilo politico che giurisprudenziale da quando, nel dicembre 2018, il primo decreto Salvini è stato tramutato in legge.

Con la norma attualmente in vigore, i richiedenti asilo non possono iscriversi all’anagrafe e questo non dà loro accesso a tutti i vari servizi relativi al diritto di residenza. Una circostanza quest’ultima che abbraccia diversi ambiti, dalle prestazioni sanitarie alla possibilità di aprire un conto in banca.

Molti sindaci, come ad esempio il primo cittadino di Palermo Leoluca Orlando, hanno da subito dichiarato guerra a questo passaggio del decreto, non applicando le normative previste. Tra questo gruppo di amministratori c’è stato chi ha sostenuto, da una parte, principi discriminatori portati avanti dalle misure in questione, mentre dall’altro lato c’è chi ha puntato il dito contro lo spettro di ritrovarsi con più migranti irregolari nelle città.

Nel piano presentato alla maggioranza dal ministro Lamorgese, è prevista l’eliminazione di questa norma ed il ritorno dunque della possibilità di iscrivere i migranti nell’anagrafe comunale. Ma, come detto, il governo per il momento è fermo al palo ed ha rinviato a data da destinarsi ogni discussione in merito.

A livello giurisprudenziale, è stato il tribunale di Milano ad impugnare la norma. Ed oggi la consulta ha iniziato a discutere per l’appunto i dubbi sulla legittimità costituzionale sollevati dai giudici del capoluogo lombardo. In particolare, secondo i magistrati milanesi le misure relative al non riconoscimento del permesso di asilo come titolo valido per l’iscrizione anagrafica, presenterebbero plurimi profili di incostituzionalità.

Nell’ordinanza di rimessione, in particolare, il primo riferimento è all’articolo 77 della Costituzione: secondo i giudici milanesi, non sono rintracciabili gli estremi per l’urgenza e la necessità di introdurre il decreto. Gli occhi sono poi puntati sull’articolo 2: il tribunale di Milano, ritiene che il diritto all’iscrizione anagrafica ricada tra quelli che hanno come “punto di approdo ultimo quello della dignità umana nella sua dimensione individuale e sociale". Vi è inoltre un riferimento all’articolo 3 in merito ad un presunto "ingiustificato trattamento differenziato” tra richiedenti asilo e cittadini stranieri, il quale sarebbe determinato proprio dalle norme impugnate. Al vaglio della consulta, anche possibili profili di incostituzionalità con l’articolo 10 della Costituzione, quello cioè secondo cui “L'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute”.

L’udienza pubblica si terrà il 10 marzo: la sentenza potrebbe confermare l’attuale impostazione del decreto sicurezza, così come potrebbe invece dare un colpo di spugna ad una delle parti più importanti della misura voluta da Salvini.

Un colpo che potrebbe segnare, per i detrattori dell’ex ministro, una vittoria ma, nello stesso momento, anche una sconfitta politica in quanto la giurisprudenza in questo caso anticiperebbe sul tempo le mosse di una maggioranza che sul tema non è mai riuscita a trovare punti di convergenza.

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