Bottura, l'"arci-italiano" dalla tradizione crea felicità

Due volte nominato migliore chef del mondo, ha cambiato la gastronomia tricolore riscoprendo l'orgoglio delle radici

Bottura, l'"arci-italiano" dalla tradizione crea felicità

C'è una scena gastronomica italiana prima di Massimo Bottura e dopo Massimo Bottura, c'è poco da dire. L'oste di Modena ha il vizio di farsi volere bene da tutti (e proprio per questo qualcuno ha l'ubbia di detestarlo) ma per il resto è indubbiamente lo chef italiano più influente dopo Gualtiero Marchesi. Non tanto per i suoi piatti, comunque tanti e buoni (ne parleremo) ma per la narrazione di cui si è fatto cantore, che ha trasportato la gastronomia tricolore nel terzo millennio senza rinunciare (miracolo!) ai continui riferimenti alle nostre tradizioni. Bottura è il trombettiere dell'Italia a tavola, quando nel 2016 per la prima volta venne nominato dalla 50 Best - la più autorevole classifica mondiale della gastronomia - primo e tuttora unico italiano a riuscirci, si avvolse nel tricolore con sguardo quasi lussurioso e trans-ideologico. Ci mancava solo una Sophia Loren a esclamare "Massimo!" invece che "Roberto!". E a pensarci che cos'è Bottura se non un Benigni che sa cucinare? O forse, al contrario, che cos'è Benigni se non un Bottura che non fa ridere?

Bottura non ha una Sophia ma ha una Lara, la moglie che di cognome fa Gilmore e viene dall'America, ed è la sua socia, meno ciarliera di lui, anche per ragioni linguistiche le manca quella prossemica tracimante che rapisce e convince (si dice che Bottura ti persuaderebbe che l'acqua di mare è Coca-Cola) ma che è l'anima di ferro della loro società. I due hanno messo su un piccolo impero sorridente su cui non tramonta mai il cotechino: l'Osteria Francescana, trent'anni quest'anno, tre stelle Michelin, da anni considerata la migliore tavola d'Italia (a patto di trascurare il fatto che di osteria non trattasi); Casa Maria Luigia, un bed and breakfast dell'anima, che ospita anche il ristorante Al Gatto Verde, magnificamente guidato dalla affascinante "cheffe" di origine canadese Jessica Rosval, da qualche mese con la stella anche lei; Francescana at Maria Luigia, una succursale dell'Osteria che prevede un tavolo sociale in cui mangiare un menu di nove portate storiche di Bottura; il gastrobistrot Franceschetta 58; il ristorante di Maranello Cavallino, ovviamente ad ambientazione ferrarista (d'accordo, non è il momento di farsene un vanto). E fuori dal Modenese, consulenze come quella con Gucci Osteria a Firenze, Tokyo, Seul, Beverly Hills. E poi Oro dell'Hotel Cipriani a Venezia, dove cucina per lui la brava Vania Ghedini. E ancora Torno Subito, Tortellante, Food for Soul, i vari refettori per le persone bisognose. Il tutto si chiama Francescana Family e pazienza per l'inglese.

Il fatto è che alla fine Massimo Bottura è simpatico davvero anche se vuoi proprio fartelo risultare antipatico, ti travolge, ti avvolge, ti coccola. Ci sa fare, e l'ospitalità che cosa non è se non l'arte di saperci fare? E all'Osteria Francescana si sta di un bene, se dovessi consigliare a un amico senza problemi di portafogli ma a digiuno dei codici del fine dining un ristorante tristellato in cui portare la fidanzata, probabilmente gli darei l'indirizzo di via Stella ventidue a Modena.

Osteria Francescana è una fabbrica di felicità. A caro prezzo (un menu costa 350 euro, con l'abbinamento di vini consigliato 590) ma felicità, senza dubbio. È un luogo dove esiste quel tipo di telepatia per cui sembra che il personale ti legga nel pensiero e anticipi i tuoi desideri. Se uno vuole capire che cosa sia l'eccellenza nella gastronomia italiana - mai a suo agio nella teatralità spagnoleggiante, nelle brume nordiche, nella pace ipnotica giapponese, nella tecnica tutta fondi e salse alla francese - deve andare a Modena, mettersi seduto e aspettare. Qualcosa succederà.

Il menu attuale di Bottura si chiama Miseria e Nobiltà ed è un esplicito omaggio alla cultura alimentare italiana, fatta di privazioni quanto di abbondanze, di "senza" quanto di "con". La citazione dell'opera teatrale di Edoardo Scarpetta diventata leggendario film con Totò e Sophia Loren, ancora lei, evoca scene di cibi sognati più che mangiati, di spaghetti finalmente e avventurosamente serviti e conquistati con le mani perché in questo Italians do it better.

Certo, quella di Bottura è più nobiltà che miseria, è un gioco intellettuale per un pubblico benestante che la fame non sa nemmeno cos'è, al massimo la dieta che è il digiuno dei ricchi, ma alcune trovate sono francamente geniali.

Prendete Pane e Acqua, il primo piatto del menu, che evoca i due elementi più poveri e basilari della nostra alimentazione. E l'acqua è nobiltà, quella di ostrica, ed è miseria, l'acqua cotta, nella quale finisce inzuppato del pane croccante che viene poi posato su dello chawanmushi di ostriche (un antipasto brodoso giapponese servito in tazza), con dragoncello e foglia d'ostrica e una decorazione camouflage con pane tostato alle erbe e gambi di sedano e prezzemolo sminuzzati.

Prendete poi la Pasta e fagioli, anzi: Dove vuole andare questa pasta e fagioli? (nel mondo pop di Bottura i titoli dei piatti sono fatidici e fumettistici per mancanza di prove), un piatto appena un gradino all'insù nella catena alimentare italiana. I fagioli si fanno essi stessi pasta, e vengono mantecati con un brodo di midollo molto gelatinoso con in infusione anche gli scarti del prosciutto e olio al cavolo nero e al levistico, chiamati a evocare le zuppe dell'Italia centrale.

Tutto molto bello.

Tutto molto buono.

Non si può parlare di Osteria Francescana senza citare Beppe Palmieri, forse il migliore maître del mondo, di certo nei primi dieci o dodici, uno passato dai panini (li vendeva, di qualità ma pur sempre panini) al caviale. Uno con cui parleresti per ore, di tutto.

Tutto molto bello.

Talmente bello che

ti chiedi se non ci ha messo sull'avviso il buon Massimo intitolando uno dei suoi libri: "Never Trust a Skinny Italian Chef". Mai fidarti di uno chef italiano magro. Massimo, ingrassa un po' che abbiamo voglia di crederti.

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