E Violante ridicolizza gli allarmi: "Riecco il fascismo..."

C'è una sinistra garantista ex Pci che nega la propaganda sul pm succube del governo

E Violante ridicolizza gli allarmi: "Riecco il fascismo..."
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In queste prime battute della campagna referendaria si scopre una sinistra antica più garantista dell'attuale. Il coro che si leva dal campo largo - da Schlein a Conte, alla coppia Fratoianni-Bonelli - individua, infatti, come fine della riforma della giustizia quello di togliere autonomia alla magistratura per renderla succube del potere esecutivo, parlano di svolta autoritaria e quant'altro. Una critica francamente grossolana condivisa anche da magistrati del calibro di Nicola Gratteri. C'è invece una parte della sinistra, per la maggior parte esponenti che hanno militato nel Pci, che o votano a favore della separazione delle carriere tra magistrati e pm come Claudio Petruccioli, Claudia Mancini, Stefano Ceccanti, Cesare Salvi, Enrico Morando; oppure come Goffredo Bettini non sono contrari alla riforma ma magari potrebbero depositare nell'urna il loro "no" solo per una valutazione politica ("se il referendum diventa per la Meloni lo strumento per sfondare su tutta la linea allora potrei valutare di votare contro"); o, ancora, ci sono altri che anche se votano contro la riforma paradossalmente usano argomenti che riecheggiano tesi "garantiste".

Personaggi come Luciano Violante o l'ex-ministro della Giustizia, Andrea Orlando, si soffermano, ad esempio, su un rischio: organizzare i pubblici ministeri in un ordine a parte, con un loro Csm parte, a capo della polizia giudiziaria, significa consegnargli un'autonomia senza controllo, per alcuni versi pericolosa. "Francamente - ha osservato Orlando - ho paura di una condizione simile".

Ma soprattutto non abbracciano l'idea che la riforma renda i pm e la magistratura succubi del potere esecutivo perché sarebbe innanzitutto in contraddizione con la loro tesi e tanto meno sono del parere che sia il segnale di una svolta autoritaria. "Ricominciamo con la storia del fascismo", ironizza Violante. Un altro esponente dell'ex-Pci, che lavorò anche ai temi della giustizia nella commissione bicamerale presieduta da D'Alema, Cesare Salvi, motiva invece il suo "sì" al referendum spiegando addirittura che la riforma "è in linea con il garantismo della sinistra". In fondo Salvi ha una parte di ragioni perché "il garantismo" non è sempre stato un concetto che a sinistra equivaleva ad una parolaccia.

"Un tempo i forcaioli albergavano più nella destra che non nella sinistra", ammette un garantista come Giuseppe Valentino con alle spalle una carriera nel Msi. L'ubriacatura giustizialista e l'alleanza con il protagonismo delle procure, infatti, può essere datata negli anni del tramonto della prima Repubblica e di Tangentopoli: il Pci e poi Ds rischiando di essere travolti dal crollo del muro di Berlino per salvarsi strinsero un'alleanza con le toghe più politicizzate e puntarono alla criminalizzazione degli avversari politici. Bettino Craxi fu fatto fuori così. E lo stesso metodo fu utilizzato nei confronti di Silvio Berlusconi nella Seconda Repubblica.

Ma un filone "garantista" c'è sempre stato a sinistra, geloso delle prerogative della politica: "Uno dei più accesi sostenitori dell'immunità parlamentare alla Costituente - ricorda il piddino Roberto Morassut - fu Umberto Terracini, personaggio storico del Pci". Senza contare che lo stesso Palmiro Togliatti ne fu un sostenitore. Un filone che nel tempo è affiorato o è stato ingoiato dalle logiche di partito come un fiume carsico. Ne è testimone il sottoscritto nella sua esperienza da senatore: assolto in primo grado e condannato in appello da un magistrato che non aveva collezionato due carriere ma addirittura cinque (pm, deputato, senatore, sottosegretario del Pd, giudice e di nuovo pm) sono stato salvato dalla decadenza prevista dalla legge Severino pure da una quarantina di senatori del Pd che o non partecipando al voto, o astenendosi, o ancora votando contro intravidero in quel processo i segni di una persecuzione politica. Il problema, quindi, non è la carenza di "garantismo" a sinistra sul piano concettuale, ma il calcolo che spesso c'è stato nell'uso politico della giustizia. Nel collateralismo che si è creato con le toghe più vicine sul piano ideologico che ha generato correnti organizzate per condizionare il potere giudiziario (ad esempio "magistratura democratica").

Ecco perché il cuore della riforma non è tanto nella separazione delle carriere, quanto nel tentativo di scardinare il meccanismo correntizio. Obiettivo insito nell'adozione del sorteggio come metodo per la scelta dei membri togati nei due Csm. E obiettivo squisitamente politico perché punta a ripristinare le prerogative della politica.

Argomento non alieno alle radici culturali di una certa sinistra. "A me la Meloni piace - confidava qualche mese fa Anna Finocchiaro, magistrato che militò nel Pci - perché hai i caratteri di un vero dirigente politico".

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