Sono tre anni che la sinistra gira a vuoto lontano dai Palazzi del potere e lontano dalle urne. E il perché è comprensibile. Dopo la vittoria di Romano Prodi del 2006, l'ultima certificata dal Viminale, è arrivata la spallata a Silvio Berlusconi travestita da spread, la speculazione contro i titoli di Stato, il rigor mortis di Mario Monti, la "non vittoria" del 2013, poi le maggioranze a tavolino che hanno partorito Enrico Letta, Matteo Renzi, Paolo Gentiloni, il Giuseppe Conte giallorosso e il quasi bipartisan Mario Draghi. Tutti scheletri nell'armadio democrat difficili da rimuovere, oggi che qualcuno evoca altri scossoni per disarcionare il centrodestra. È (anche) a queste trame di corridoio che si riferiva il premier Giorgia Meloni l'altra sera da Padova quando, difendendo il premierato, invocava la necessità di una riforma "che dica basta agli inciuci, ai giochi di Palazzo, ai governi che passano sopra la testa dei cittadini, degna di un Paese moderno".
"Meglio regnare all'Inferno che servire in Paradiso", fa dire John Milton al Satana ricacciato negli abissi nel Paradise lost. E infatti "qualcuno sperava in una tempesta finanziaria e nella rivolta sociale per governare sulle macerie, piuttosto che stare all'opposizione in una Nazione che cresce", sottolinea la Meloni, citando - non a sproposito - Romano Prodi, "uno che ha una cattedra universitaria nel voltare le spalle agli italiani", dal pasticcio Iri alla svalutazione della lira e agli errori sull'euro e che oggi spera ancora nel Quirinale nonostante le coltellate che ha ricevuto dai suoi accoliti.
Oggi l'economia italiana - in uno scenario complesso per tutto l'Occidente, con Francia e Germania che arrancano - va meglio di altri Paesi, i titoli di Stato veleggiano e fanno gola anche ai risparmiatori italiani, "lo stesso Financial Times la settimana scorsa titolava L'Europa dovrebbe imparare dall'Italia", ha ricordato il leader di Fratelli d'Italia, mentre la sinistra profetizzava che con il centrodestra al potere "saremmo durati sei mesi, pecora nera d'Europa isolata a livello internazionale".
A pensar male si fa peccato, ma abbiamo visto che spesso la valutazione internazionale dell'Italia era eterodiretta da sinistra - ricordate i sorrisini di Angela Merkel e Francois Sarkozy, i corsivetti dei giornali stranieri, il Berlusconi unfit a governare (copyright The Economist), i giudizi malevoli degli osservatori internazionali che si basavano solo sulla lettura di Corriere e Repubblica. Oggi per la sinistra sfascista l'economia è un'arma spuntata, la rivolta sociale che qualcuno come Maurizio Landini si augura un venerdì sì e un venerdì pure si consuma solo (fortunatamente) negli scontri di piazza di studenti e anarchici, non "contro" ma solo per rivendicare una presenza, per dire "io ci sono". E i rinnovi contrattuali che danno respiro al ceto medio si firmano nonostante i niet strumentali della Cgil. Le ricette "tardocomuniste" come la patrimoniale fanno sorridere, per la sinistra salottiera con la puzza sotto al naso "è ricco chi guadagna 2.500 euro", ha ricordato il premier, a testimonianza dello scollamento tra il Paese e una parte politica che non è mai riuscita a parlare a tutti.
Chissà se lo "scossone" che qualcuno prefigura ha il solito sapore stantio delle Procure e dei pm asserviti alle logiche di contrapposizione che purtroppo vediamo in questi giorni avvelenare il dibattito sulla riforma della giustizia, dal no al Ponte sullo Stretto della Corte dei Conti alla giurisprudenza creativa che prova a disinnescare la lotta all'immigrazione. "Non sono ricattabile", è il mantra del premier, nelle chat e nelle conversazioni tra correnti della magistratura le toghe lo sanno benissimo.
L'arma delle inchieste a orologeria spara pallottole spuntate, che non fanno più male, alla giustizia come arma politica non crede più neanche chi ha costruito carriere su indagini monstre che sono naufragate nelle aule giudiziarie. Il potere logora non solo chi non ce l'ha, ma anche chi sa che le solite, vecchie scorciatoie per assaltare il Palazzo non sono più percorribili.