
da Roma
«Vado a votare ma non ritiro la scheda. È una delle opzioni». Nel bel mezzo di via dei Fori Imperiali, interpellata dai cronisti sui referendum dell'8 e 9 giugno, Giorgia Meloni sceglie una soluzione ad hoc per non sottrarsi tecnicamente alle urne ma contemporaneamente non esprimersi sui cinque quesiti su lavoro e cittadinanza. Un escamotage con il quale la premier, pur recandosi fisicamente ai seggi, non risulterà comunque tra i votanti. E, soprattutto, non inciderà sul raggiungimento del quorum del 50% più uno, soglia necessaria affinché i referendum siano validi. A fugare ogni dubbio in proposito, peraltro, è una circolare del ministero dell'Interno che sul punto è piuttosto chiara: «Per quanto attiene la rilevazione del numero degli elettori si legge nella nota del Viminale - appare utile rammentare che coloro che rifiutano la scheda non dovranno essere conteggiati tra i votanti della sezione elettorale». Una scelta, quella di Meloni, piuttosto prevedibile e in linea con la posizione del governo. Ma che accende le opposizioni che - dal Pd al M5s, passando per +Europa e Avs - accusano la premier di «fare la furba» e presentare quella che è un'astensione di fatto come «un'alternativa partecipativa».
Ma la parata del 2 giugno è anche l'occasione per tornare sulle parole di Sergio Mattarella, che domenica al Quirinale aveva criticato Israele definendo «inaccettabile» il «rifiuto di applicare le norme del diritto umanitario» nella Striscia di Gaza e «disumana» la scelta di «ridurre alla fame un'intera popolazione». «Sono state parole importanti e sono in linea con quello che ha già detto il governo. Ringrazio il presidente della Repubblica e sono d'accordo con lui», dice la premier ai cronisti.
Ed è soprattutto sulla politica estera che è concentrata Meloni in queste ore (ieri il segretario di Stato americano Marco Rubio ha definito l'Italia un «alleato chiave nella regione euro-atlantica» e ha parlato di «cooperazione costante con la premier»). All'indomani dei colloqui di Istanbul, infatti, oggi pomeriggio Meloni avrà un faccia a faccia a Palazzo Chigi con Emmanuel Macron. Un incontro niente affatto scontato dopo le tensioni e incomprensioni di Tirana e in considerazione del fatto che il presidente francese non era ancora stato ufficialmente «ospite» del governo italiano da quando la premier siede a Palazzo Chigi. I due precedenti incroci «romani» - il 22 ottobre 2022 e il 26 settembre 2023 - sono stati infatti entrambi casuali e non preceduti da alcun contatto tra le rispettive diplomazie. L'incontro di oggi, insomma, dovrebbe servire a mettere da parte le incomprensioni di questi anni. Un riavvicinamento necessario, anche e soprattutto davanti a uno scenario internazionale sempre più complicato. Non solo per i difficili negoziati di pace tra Russia e Ucraina, su cui pesa l'ombra di un eventuale disimpegno americano. Ma anche perché non è ancora davvero chiaro come e quando si risolverà la complicatissima partita sui dazi in corso tra Bruxelles e Washington. Proprio ieri, peraltro, l'Eliseo ha di fatto teso la mano alla premier italiana. «Non c'è assolutamente alcun ostracismo nei confronti di Giorgia Meloni», hanno riferito fonti vicine alla presidenza della Repubblica francese. Anzi, «l'Italia per noi è un partner importante» e se «i formati possono variare» quello che conta è che «è sul fondo delle questioni fra europei ci troviamo d'accordo» e per questo «è necessario che Macron e Meloni possano parlarsi». E i dossier sul tavolo saranno molti.
Dalla difesa al contrasto all'immigrazione irregolare, fino al negoziato sul prossimo Quadro finanziario pluriennale. Ma il focus, ovviamente, sarà sull'Ucraina (per «ribadire l'incrollabile sostegno di Roma e Parigi a un percorso che porti a una pace giusta e duratura», spiegano fonti italiane), sul Medio Oriente e sui dazi.