
Dal nostro inviato a Roma
La borsa di Paolo Borsellino, nella teca dei corridoi di Montecitorio, è annerita dalle bombe e accartocciata dai depistaggi. Ma si riempie subiti di speranze e di fatti, vecchi e nuovi, quando arrivano le delegazione dei parlamentari di Fratelli d'Italia a rendere omaggio al giudice ucciso il 19 luglio del 1992. Anche lontano da telecamere e taccuini sfilano i "suoi" ragazzi, cresciuti nel mito di un uomo "che in quei 57 giorni ha corso il tempo e contro la sua vita, andando consapevolmente incontro alla sua morte", come ci sussurra la presidente della commissione Antimafia Chiara Colosimo, usando le stesse parole e la stessa determinazione esibita alla kermesse Fdi poco lontano. A partire da Giorgia Meloni "che aveva 15 anni quando ha detto devo fare qualcosa", ricorda il capogruppo al Senato Lucio Malan.
C'è il capogruppo alla Camera Galeazzo Bignami, il vicepresidente della Camera Fabio Rampelli, i parlamentari Paolo Trancassini, Marco Perissa, Francesco Filini, che Sara Kelany che hanno organizzato la quarta edizione della kermesse, ci sono i ministri dell'Interno e della Giustizia Matteo Piantedosi e Carlo Nordio, il sottosegretario Alfredo Mantovano, il sottosegretario Andrea Delmastro, secondo cui "nel contrasto alla criminalità il governo non retrocederà mai".
"Il 19 maggio, prima delle stragi, 47 deputati del Msi lo avevano votato alla presidenza della Repubblica. Ecco, io sono pienamente fieramente erede di quella storia politica", ripete Bignami, convinto che "gli attacchi di certa sinistra testimoniano che siamo sulla strada giusta". "Nessuno può insegnare alla destra italiana cos'è la lotta alla mafia", ribadisce Filini. I ragazzini che vissero la stagione delle stragi davanti alla tv oggi sono al potere. "Partì tutto da lì", ricorda la responsabile della segreteria politica Arianna Meloni, fu quel sangue la molla che li spinse "a fare politica, portando nel cuore l'esempio di questi eroi contro l'idea che i cattivi ce l'avessero fatta", ripete la sorella del premier.
Parlate di mafia era il mantra del giudice, spazzato via da una bomba ma ucciso giorni, mesi prima dall'ignavia dei suoi colleghi, vittime o carnefici dietro un depistaggio i cui contorni si fanno sempre più nitidi. "Mio padre voleva vincere questa guerra, ma gli è stato impedito. È stato lasciato solo da troppe persone vicine a lui. Siamo alla ricerca di questo amico che l'ha tradito", ammette il figlio Manfredi. È in quel "covo di vipere" la verità sulle bombe, nascosta tra i 400 faldoni scovati dalla Procura di Caltanissetta che evoca il vicepresidente dei senatori meloniani Salvo Sallemi, "carte mai lette e atti mai desecretati" su cui sta lavorando anche la Colosimo, che respinge l'idea di essere eterodiretta dal generale Mario Mori, riabilitato (senza nominarlo) persino da Repubblica che finalmente sposa la pista del dossier mafia-appalti pervicacemente respinta fino a ieri. "È dal 2023 che ci chiediamo perché, dopo 33 anni, certi fatti dovessero rimanere nascosti", ribadisce la presidente dell'Antimafia, mentre le solite piste evocate per cercare altrove i mandanti di quelle morti sono già state archiviate, si scava sul passato di magistrati vivi e morti come Giuseppe Pignatone e Gioacchino Natoli (interrogati per ore nei giorni scorsi), indagati perché avrebbero coperto la borghesia mafiosa che andava a braccetto coi boss. E come l'ex procuratore capo di Caltanissetta Giovanni Tinebra, accusato da morto di essere un massone messo lì a depistare le indagini, mentre impazza il dibattito sulla separazione delle carriere "che Giovanni Falcone riteneva essenziale e che siamo orgogliosi di portare avanti", sottolinea Bignami.
"Senza le verità storiche sulle stragi di mafia difficilmente faremo pace con la Storia e questo Paese, senza dimenticare l'attualità della lotta alla mafia", conclude la Colosimo, non senza respingere al mittente l'accusa di voler accantonare la pista nera legata alla presenza di Stefano Delle
Chiaie a Palermo, ipotesi smentita e già archiviata dalla magistratura nel 2022. E a chi l'accusa di essere pilotata ammette, con un sorriso: "Sì, da chi non difende carriere, interessi e status quo. Dai figli di Borsellino".